Messaggio di Papa Francesco per la Quaresima 2023

Cari fratelli e sorelle!
I vangeli di Matteo, Marco e Luca sono concordi nel raccontare l’episodio della Trasfigurazione di Gesù. In questo avvenimento vediamo la risposta del Signore all’incomprensione che i suoi discepoli avevano manifestato nei suoi confronti. Poco prima, infatti, c’era stato un vero e proprio scontro tra il Maestro e Simon Pietro, il quale, dopo aver professato la sua fede in Gesù come il Cristo, il Figlio di Dio, aveva respinto il suo annuncio della passione e della croce. Gesù lo aveva rimproverato con forza: «Va’ dietro a me, satana! Tu mi sei di scandalo, perché non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini!” (Mt 16,23). Ed ecco che «sei giorni dopo, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni suo fratello e li condusse in disparte, su un alto monte» (Mt 17,1).
Il Vangelo della Trasfigurazione viene proclamato ogni anno nella seconda Domenica di Quaresima. In effetti, in questo tempo liturgico il Signore ci prende con sé e ci conduce in disparte. Anche se i nostri impegni ordinari ci chiedono di rimanere nei luoghi di sempre, vivendo un quotidiano spesso ripetitivo e a volte noioso, in Quaresima siamo invitati a “salire su un alto monte” insieme a Gesù, per vivere con il Popolo santo di Dio una particolare esperienza di ascesi.
L’ascesi quaresimale è un impegno, sempre animato dalla Grazia, per superare le nostre mancanze di fede e le resistenze a seguire Gesù sul cammino della croce. Proprio come ciò di cui aveva bisogno Pietro e gli altri discepoli. Per approfondire la nostra conoscenza del Maestro, per comprendere e accogliere fino in fondo il mistero della salvezza divina, realizzata nel dono totale di sé per amore, bisogna lasciarsi condurre da Lui in disparte e in alto, distaccandosi dalle mediocrità e dalle vanità. Bisogna mettersi in cammino, un cammino in salita, che richiede sforzo, sacrificio e concentrazione, come una escursione in montagna. Questi requisiti sono importanti anche per il cammino sinodale che, come Chiesa, ci siamo impegnati a realizzare. Ci farà bene riflettere su questa relazione che esiste tra l’ascesi quaresimale e l’esperienza sinodale.
Nel “ritiro” sul monte Tabor, Gesù porta con sé tre discepoli, scelti per essere testimoni di un avvenimento unico. Vuole che quella esperienza di grazia non sia solitaria, ma condivisa, come
lo è, del resto, tutta la nostra vita di fede. Gesù lo si segue insieme. E insieme, come Chiesa pellegrina nel tempo, si vive l’anno liturgico e, in esso, la Quaresima, camminando con coloro che il Signore ci ha posto accanto come compagni di viaggio. Analogamente all’ascesa di Gesù e dei discepoli al Monte Tabor, possiamo dire che il nostro cammino quaresimale è “sinodale”, perché lo compiamo insieme sulla stessa via, discepoli dell’unico Maestro. Sappiamo, anzi, che Lui stesso è la Via, e dunque, sia nell’itinerario liturgico sia in quello del Sinodo, la Chiesa altro non fa che entrare sempre più profondamente e pienamente nel mistero di Cristo Salvatore.
E arriviamo al momento culminante. Narra il Vangelo che Gesù «fu trasfigurato davanti a loro: il suo volto brillò come il sole e le sue vesti divennero candide come la luce» (Mt 17,2). Ecco
la “cima”, la meta del cammino. Al termine della salita, mentre stanno sull’alto monte con Gesù, ai tre discepoli è data la grazia di vederlo nella sua gloria, splendente di luce soprannaturale, che non veniva da fuori, ma si irradiava da Lui stesso. La divina bellezza di questa visione fu incomparabilmente superiore a qualsiasi fatica che i discepoli potessero aver fatto nel salire sul Tabor. Come in ogni impegnativa escursione in montagna: salendo bisogna tenere lo sguardo ben fisso al sentiero; ma il panorama che si spalanca alla fine sorprende e ripaga per la sua meraviglia. Anche il processo sinodale appare spesso arduo e a volte ci potremmo scoraggiare. Ma quello che ci attende al termine è senz’altro qualcosa di meraviglioso e sorprendente, che ci aiuterà a comprendere meglio la volontà di Dio e la nostra missione al servizio del suo Regno.
L’esperienza dei discepoli sul Monte Tabor si arricchisce ulteriormente quando, accanto a Gesù trasfigurato, appaiono Mosè ed Elia, che impersonano rispettivamente la Legge e i Profeti (cfr
Mt 17,3). La novità del Cristo è compimento dell’antica Alleanza e delle promesse; è inseparabile dalla storia di Dio con il suo popolo e ne rivela il senso profondo. Analogamente, il percorso
sinodale è radicato nella tradizione della Chiesa e al tempo stesso aperto verso la novità. La tradizione è fonte di ispirazione per cercare strade nuove, evitando le opposte tentazioni dell’immobilismo e della sperimentazione improvvisata.
Il cammino ascetico quaresimale e, similmente, quello sinodale, hanno entrambi come meta una trasfigurazione, personale ed ecclesiale. Una trasformazione che, in ambedue i casi, trova il suo
modello in quella di Gesù e si opera per la grazia del suo mistero pasquale. Affinché tale trasfigurazione si possa realizzare in noi quest’anno, vorrei proporre due “sentieri” da seguire per
salire insieme a Gesù e giungere con Lui alla meta. Il primo fa riferimento all’imperativo che Dio Padre rivolge ai discepoli sul Tabor, mentre contemplano Gesù trasfigurato. La voce dalla nube dice: «Ascoltatelo» (Mt 17,5). Dunque la prima indicazione è molto chiara: ascoltare Gesù. La Quaresima è tempo di grazia nella misura in cui ci mettiamo in ascolto di Lui che ci parla. E come ci parla? Anzitutto nella Parola di Dio, che la Chiesa ci offre nella Liturgia: non lasciamola cadere nel vuoto; se non possiamo partecipare sempre alla Messa, leggiamo le Letture bibliche giorno per giorno, anche con l’aiuto di internet. Oltre che nelle Scritture, il Signore ci parla nei fratelli, soprattutto nei volti e nelle storie di coloro che hanno bisogno di aiuto. Ma vorrei aggiungere anche un altro aspetto, molto importante nel processo sinodale: l’ascolto di Cristo passa anche attraverso l’ascolto dei fratelli e delle sorelle nella Chiesa, quell’ascolto reciproco che in alcune fasi è l’obiettivo principale ma che comunque rimane sempre indispensabile nel metodo e nello stile di una Chiesa sinodale.
All’udire la voce del Padre, «i discepoli caddero con la faccia a terra e furono presi da grande timore. Ma Gesù si avvicinò, li toccò e disse: “Alzatevi e non temete”. Alzando gli occhi non videro nessuno, se non Gesù solo» (Mt 17,6-8). Ecco la seconda indicazione per questa Quaresima: non rifugiarsi in una religiosità fatta di eventi straordinari, di esperienze suggestive, per paura di affrontare la realtà con le sue fatiche quotidiane, le sue durezze e le sue contraddizioni. La luce che Gesù mostra ai discepoli è un anticipo della gloria pasquale, e verso quella bisogna andare, seguendo “Lui solo”. La Quaresima è orientata alla Pasqua: il “ritiro” non è fine a sé stesso, ma ci prepara a vivere con fede, speranza e amore la passione e la croce, per giungere alla risurrezione.
Anche il percorso sinodale non deve illuderci di essere arrivati quando Dio ci dona la grazia di alcune esperienze forti di comunione. Anche lì il Signore ci ripete: «Alzatevi e non temete».
Scendiamo nella pianura, e la grazia sperimentata ci sostenga nell’essere artigiani di sinodalità nella vita ordinaria delle nostre comunità. Cari fratelli e sorelle, lo Spirito Santo ci animi in questa Quaresima nell’ascesa con Gesù, per fare esperienza del suo splendore divino e così, rafforzati nella fede, proseguire insieme il cammino con Lui, gloria del suo popolo e luce delle genti.

Roma, San Giovanni in Laterano, 25 gennaio, festa della Conversione di San Paolo

FRANCESCO17 Febbraio 2023

Mercoledì delle Ceneri

Il mercoledì delle Ceneri, la cui liturgia è marcata storicamente dall’inizio della penitenza pubblica, che aveva luogo in questo giorno, e dall’intensificazione dell’istruzione dei catecumeni, che dovevano essere battezzati durante la Veglia pasquale, apre ora il tempo salutare della Quaresima.

Lo spirito comunitario di preghiera, di sincerità cristiana e di conversione al Signore, che proclamano i testi della Sacra Scrittura, si esprime simbolicamente nel rito della cenere sparsa sulle nostre teste, al quale noi ci sottomettiamo umilmente in risposta alla parola di Dio. Al di là del senso che queste usanze hanno avuto nella storia delle religioni, il cristiano le adotta in continuità con le pratiche espiatorie dell’Antico Testamento, come un “simbolo austero” del nostro cammino spirituale, lungo tutta la Quaresima, e per riconoscere che il nostro corpo, formato dalla polvere, ritornerà tale, come un sacrificio reso al Dio della vita in unione con la morte del suo Figlio Unigenito. È per questo che il mercoledì delle Ceneri, così come il resto della Quaresima, non ha senso di per sé, ma ci riporta all’evento della Risurrezione di Gesù, che noi celebriamo rinnovati interiormente e con la ferma speranza che i nostri corpi saranno trasformati come il suo.

Il rinnovamento pasquale è proclamato per tutta l’umanità dai credenti in Gesù Cristo, che, seguendo l’esempio del divino Maestro, praticano il digiuno dai beni e dalle seduzioni del mondo, che il Maligno ci presenta per farci cadere in tentazione. La riduzione del nutrimento del corpo è un segno eloquente della disponibilità del cristiano all’azione dello Spirito Santo e della nostra solidarietà con coloro che aspettano nella povertà la celebrazione dell’eterno e definitivo banchetto pasquale. Così dunque la rinuncia ad altri piaceri e soddisfazioni legittime completerà il quadro richiesto per il digiuno, trasformando questo periodo di grazia in un annuncio profetico di un nuovo mondo, riconciliato con il Signore.

Benedizione 2023

Le benedizioni si svolgeranno in orario mattina dalle 10.00 alle 13.00 e pomeridiano, dalle 15 alle 19 circa, dal lunedì al venerdì. Le famiglie che desiderano la visita del sacerdote attendano sulla porta o almeno lascino la porta aperta. Eventuali variazioni saranno comunicate almeno 2 giorni prima sul sito web della parrocchia: www.badiadiripoli.it. Telefono di don Robert 3483225350 oppure tel. 055/6820507

FEBBRAIO
Lunedì  27 – MattinaVia Webb da 22 a 3
Lunedì 27 – PomeriggioVia Webb da 27 a 35 + Piazza Pomario + Via Parlatore da 1 a 18
Martedì 28 – MattinaVia Alpino fino al 73 tranne il 65
Martedì 28 – PomeriggioVia Parlatore da 19 a 46 + Via Alpino 77, 79 e 65
MARZO
Mercoledì 1- MattinaVia Beccari da 2 a 11 e n. 20 e 21
Mercoledì 1- PomeriggioVia Beccari da 12 a 18 + Via Ghini da 12 a 1
Giovedì 2 – MattinaVia Beccari da 24 a 40
Giovedì 2 – PomeriggioVia Beccari da 41 a 72 + Via San Marcellino pari da 2 a 8
Venerdì 3 – MattinaVia San Marcellino dispari da 1 a 37 e pari da 8B a 26.
Venerdì 3 – PomeriggioVia San Marcellino pari da 28 a 40A, dispari da 39 a 55A + 59O e 59P
Lunedì 6 – MattinaVia Arcangeli 39 e 45 + Via San Marcellino 59, 59F, 61, 63 e 44
Lunedì 6 – PomeriggioVia del Paradiso dispari da 5 a 35 + Via San Marcellino 42
Martedì 7 – MattinaVia Arcangeli da 1 a 33
Martedì 7 -PomeriggioVia Baccarini e Via Raddi
Mercoledì 8 – MattinaVia Savi, Via Calzolari e Via Vallisneri
Mercoledì 8 – PomeriggioVia di Ripoli pari da 140B a 116 e dispari da 173E a 183
Giovedì 9 – MattinaVia di Ripoli 142A, 144 e dispari da 185 a 207C + Via Albania
Giovedì 9- PomeriggioVia di Ripoli pari da 150 a 172 e 207L-H-G-F
Venerdì 10 – MattinaVia di Ripoli 184, 182 e 207M-N-Q-R
Venerdì 10 – PomeriggioVia di Ripoli pari da 186 a 240 e dispari da 215 a 209
Lunedì 13 – MattinaVia di Ripoli da Via cimitero del Pino al viadotto (pari 262A-254 e disp 277-233)
Lunedì 13 – PomeriggioVia Spagna da 2 a 6 + Via Grecia da 19 a 41
Martedì 14 – MattinaVia Spagna da 10 a 36
Martedì 14 – PomeriggioVia Cimitero del Pino + Via Grecia da 4 a 16 + Viale Europa211 e 213 + Viuzzo del Pozzetto
Mercoledì 15 – MattinaVia di Ripoli dal viadotto alla Piazza + Piazza di Badia +               Via di Badia a Ripoli dalla Piazza a Viale Europa
Mercoledì 15 – PomeriggioVia Danimarca + Via Linneo
Giovedì 16 – MattinaVia Chiantigiana dispari da piazza di Badia al 43 e pari dal 24 alla piazza
Giovedì 16 – PomeriggioVia Chiantigiana pari da 54B a 30 + dispari da 83 a 45
Venerdì 17 – MattinaVia Buia
Venerdì 17 – PomeriggioVia Chiantigiana disp da 91 a 131C e pari da 58 a 78
Lunedì  20 – MattinaVia Chiantigiana pari da 80 a 122 e dispari da 131D a 143F
Lunedì 20 – PomeriggioVia Finlandia da 28 a 20 + Via Norvegia
Martedì 21 – MattinaVia Finlandia da 68 a 30
Martedì 21 – PomeriggioViale Europa da 16 a 44
Mercoledì 22- MattinaViale Europa 62, 154/18, 162/5-11 e 185C
Mercoledì 22- PomeriggioViale Europa da 185 a 153
Giovedì 23 – MattinaViale Europa da 145 a 115
Giovedì 23 – PomeriggioVia Turchia da 5 a 12 + Viale Europa 109
Venerdì 24 – MattinaVia San Marino 2 e  2A
Venerdì 24 – PomeriggioVia Ungheria da 8 a 32 + Viale Europa 185B + Via delle Nazioni Unite 7 e 9
Lunedì  27 – MattinaVia Unione sovietica da 9 a 15
Lunedì 27 – PomeriggioVia San Marino 4 + Via Belgio 7 e 6
Martedì 28 – MattinaVia Belgio 12, 4, 2 e 1
Martedì 28 – PomeriggioVia Romania + Piazza Francia + Via Polonia + Via delle Lame
Mercoledì 29 – MattinaVia Kassel da 27 a 1
Mercoledì 29 – PomeriggioVia Svizzera da 2 a 18
Giovedì 30 – MattinaVia Svizzera 20 e 22 + Via Austria da 1 a 38
Giovedì 30 – PomeriggioVia San Piero in Palco + Via di Badia a Ripoli da Vle Europa a Via delle Lame

IV Domenica di Avvento

d. Bernardo Artusi csl – Certosa di Firenze

 Mentre il cammino dell’Avvento ci ha portati ormai vicini al Mistero del Natale, siamo invitati a fare un nuovo passo verso la profondità, ad aderire in modo più pieno al disegno di Dio. Il testo di Isaia ci pone l’esempo del re di Giuda, Acaz, che nel 739 a.C. decide di allearsi con gli Assiri, piuttosto che con il regno di Siria e di Israele. Nonostante il richiamo del profeta a fidarsi di Dio, che non farà mancare a tempo opportuno il suo soccorso, Acaz si ostina a non chiedere un segno da parte di Dio. Nel profondo ha già scelto di seguire la sua visione delle cose, e decide di allearsi con la potenza nemica piuttosto che seguire le parole del profeta Isaia. Un atteggiamento assai rivelatore: finché non abbimo un reale rapporto con Dio, tendiamo a fidarci di noi stessi, e Dio ci piace seguirlo e servirlo finché fa quello che vogliamo noi. Vengono in mente tanti casi: come quelle famiglie, apparentemente tanto religiose, che diventano le più strenue avversarie della vocazioni dei loro figli, quando si profilano diversamente da quanto da loro immaginato. Così, una persona che manifesta una chiara vocazione alla vita claustrale, non di rado trova i suoi più forti oppositori proprio nei genitori, che fino ad allora avevano manifestato di essere tanto devoti. Insomma, quando Dio prende una iniziativa straordinaria e mette a soqquadro i nostri progetti, intervenendo nella storia – come è proprio di un Dio che ci previene e ci ama per primo –, è allora che emerge la nostra verità: la consistenza della nostra fede, oppure le illusioni religiose che crollano rovinosamente quando il nostro dio immaginato ci delude.

    Nella pienezza del tempo, al momento in cui Dio prende l’iniziativa di colmare ogni distanza nell’incarnazione del Verbo, emerge tutta la grandezza della fede di san Giuseppe. Giuseppe vive un dramma interiore, all’annuncio della gravidanza della sua promessa sposa, ed è orientato a licenziarla in segreto, cercando di proteggere Maria, di esporla il meno possibile alla pubblica riprovazione. Giuseppe sa che il bambino non è suo, e si trova in una situazione analoga a quella di Abramo: rinunciare al suo bene più caro. Ma Dio prepara per lui una via nuova di unione, di amore pieno. Ed ecco che si manifesta la giustizia, la rettitudine del cuore e la grandezza della fede di Giuseppe: egli adegua la sua vita al disegno divino, accetta di entrare interamente nei tempi e nei modi di agire di Dio, pur senza capire granché. Giuseppe dà la precedenza a Dio, al suo modo di agire sconcertante, e si fida. Così anche lui, insieme alla sua sposa, accoglie e genera nello spirito, con la sua docilità alla Parola ascoltata in sogno e nell’obbedienza della sua fede che mette Dio al primo posto.

    Anche a noi è chiesto di lasciare Dio libero di prendere iniziative nella nostra vita, e di lasciarlo agire liberamente nel suo modo paradossale, umanamente sconcertante. Il Bambino atteso, nasce “secondo la carne” e secondo lo Spirito, è Figlio della Vergine e dello Spirito Santo, e mantiene nel suo modo di essere e di agire questa sua duplice origine, divino-umana. In Cristo si manifesta una storia e una generazione divina e umana: l’Eterno si incontra con il tempo, il Creatore con la creatura, il Salvatore salva questa nostra “carne” mortale. Il suo duplice nome – di Emanuele, “Dio con noi” e di Gesù, “Dio salva” – rivela il suo segreto: non viene a mani vuote, questo Dio che si fa povero per noi. Divenendo uomo, il divino Bambino dilata con la sua ricchezza la piccolezza e la debolezza dell’essere umano a misura della vastità degli orizzonti di Dio. Ci rende partecipi della sua duplice origine: “A quanti lo hanno accolto ha dato il potere di diventare figli di Dio: a quanti credono nel suo nome” (Gv 1,12), canteremo nel giorno di Natale. Dio salva la nostra autentica vocazione, la vocazione dell’uomo a vivere secondo la grandezza e il respiro del cuore di Dio.

    Chiediamo la grazia di accogliere la Parola e l’agire di Dio, anche se non capiamo sempre dove ci vuole portare. Chiediamo occhi per vedere come opera nella nostra povertà la ricchezza del suo amore, nella nostra piccolezza la grandezza della sua misericordia, nei nostri ristretti orizzonti, la bellezza e la creatività dello Spirito Santo.

Natale 2022

Dal 15 al 23 DicembreLa Novena ore 18:00
Dal 19 al 23 Dicembreore 9.00 – 11.00 (Confessioni) Ore 15.30  – 18.00 (Confessioni)
Mercoledì 21 DicembreOre 9.00 -11.00 Confessioni Ore 21.00 Le confessioni (saranno presenti i sacerdoti delle parrocchie vicine)
Sabato 24/12/2022Di mattina non ci saranno le confessioni. La chiesa sarà chiusa per le pulizie. ore 15.00 – 17.30 – Confessioni Ore 18.00 Messa Vespertina nella Vigilia ore 23.00 –  Veglia e Santa Messa “della Notte” 
Domenica 25/12/ 2022
NATALE DEL SIGNORE 
ore 8.30  – S. Messa ore 10.00  – S. Messa ore 11.30 – S. Messa ore 18.00 – S. Messa
Lunedì  26/12/2022
SANTO STEFANO 
ore 8.30  – S. Messa
ore 18.00 – S. Messa
Sabato 31 Dicembre 2022ore 8.30  – S. Messa ore 18.00 – S. Messa di Ringraziamento
Domenica 1 Gennaio 2022 Solennità di Maria SS. MADRE DI DIOOre 8.30 – S. Messa ore 10.00  – S. Messa ore 11.30 – S. Messa ore 18.00 – S. Messa
Giovedì 5 Gennaio 2022ore 8.30  – S. Messa ore 18.00 – S. Messa
Venerdì 06/01/2022 Epifania del Signore ore 8.30  – S. Messa ore 10.00  – S. Messa ore 11.30 – S. Messa ore 18.00 – S. Messa

III Domenica di Avvento

d. Bernardo Artusi csl – Certosa di Firenze

Giunti a metà del cammino di preparazione al Natale, siamo invitati a gioire. E in questo invito alla gioia la liturgia esprime certamente il cuore di Dio, il suo più profondo desiderio per l’umanità: Dio ci vuole felici, ricolmi del suo Spirito, della sua Vita, più forte della morte. Eppure non ci sorprende la domanda che Giovanni Battista affida ai suoi discepoli dal carcere: “Sei tu colui che deve venire, o dobbiamo aspettare un altro?”. Una domanda che lascia trasparire un’esitazione, riguardo a “colui che deve venire”, il Messia atteso e annunciato da tanti profeti lungo i secoli. Cristo, nel suo comportamento, non doveva coincidere pienamente alle aspettative di Giovanni Battista. Più che un Messia potente e severo, egli appare mite e umile. Non certo un vincente, ma uno che si rivolge ai piccoli e ai poveri. Moralmente, sembra piuttosto discutibile, frequenta abitualmente pubblicani e peccatori. Non tiene le distanze, ma si coinvolge con i pagani: parla liberamente con una donna samaritana, perdona pubblicamente un’adultera, guarisce il servo di un centurione romano, si invita a casa di un collaborazionista dei romani. 

Giovanni Battista esita e il Cristo gli risponde, facendo sue le parole del profeta Isaia e con i segni concreti della sua azione, che si sta inaugurando un mondo nuovo. Non risponde direttamente, ma chiede a Giovanni di aprire gli occhi del cuore, gli occhi che sanno leggere con fede la storia e si lasciano sorprendere dal modo paradossale di agire di Dio. Il Dio del nostro immaginario, compie esattamente ciò che desideriamo e aspettiamo. Il Dio vivo e vero lo si conosce invece per rivelazione, ed è sempre oltre, oltre quanto ci siamo rappresentati, oltre quanto abbiamo capito di lui, oltre i nostri bisogni e le nostre aspettative. Beati quanti non si scandalizzano di lui, quanti non si scandalizzano del divario tra il Gesù reale e il Gesù sognato. Gesù lo si conosce da peccatori perdonati quale nostro Salvatore, che si manifesta nella sua misericordia. Non un concetto. Un incontro, un tocco del tutto unico e personale, che guarisce le nostre ferite, anch’esse così personali, da tracciare delle cicatrici riconoscibili, memoria indelebile sulla nostra pelle di quanto ci ha ferito, come anche del passaggio risanante di Dio.

Gesù delude le nostre aspettative umane di grandezza nel suo essere il più piccolo, infinitamente più piccolo delle nostre proiezioni. E nel farsi il più piccolo, diventa così grande al punto da incontrarci tutti.

Accogliere un tale Messia richiede una conversione. E Gesù indica anche nella persona di Giovanni Battista un segno che ci costringe a cambiare mente: non un profeta in morbide vesti, accattivante, ma un uomo del deserto, totalmente consacrato alla sua missione di annunciare, di preparare la via a colui che deve venire. La via la traccerà poi il Signore stesso, con la sua vita, e aprendo ai discepoli la strada e il modo stesso di seguirlo. Giovanni è il più grande dei profeti nel suo ruolo unico, e tuttavia il minimo nel regno dei cieli è più grande di lui. Giovanni rimane sulla soglia, sospeso nel suo vibrante desiderio, nella sua attesa, che il mite Agnello da lui annunciato colmerà. Davanti all’agire paradossale del Messia, Giovanni si pone in ascolto interrogando, rimane un cercatore della verità. 

L’invito alla gioia della liturgia di oggi risuona per tutti noi e può diventare un’esperienza personale se accettiamo che Dio ci inserisca nel suo disegno di amore, nel suo modo di amare, e lasciamo fare a lui. Allora anche per noi potranno aprirsi i nostri occhi e le nostre orecchie e saremo capaci di riconoscere il passaggio di Dio nei nostri deserti, nelle nostre pianure inaridite. Dio prende l’iniziativa, prepara il suo sentiero, fedele alle sue promesse. E continua a operare il miracolo di sfiorare il cuore dell’uomo e di risvegliarlo alla vera vita. Se rimaniamo aperti alle sorprese dello Spirito, Dio non mancherà di manifestarsi nella sua bellezza che fiorisce anche per ciascuno di noi.

II Domenica di Avvento

d. Bernardo Artusi csl – Certosa di Firenze

La liturgia di questa seconda Domenica di Avvento ci porta a contemplare la radice, il motivo della nostra più profonda speranza. Al tempo stesso, rinnova l’invito a stare svegli, a vigilare.

Possiamo sperare in pienezza perché Dio ci viene incontro, ci cerca da lontano e ha promesso che un germoglio spunterà. Esile come ogni germoglio al suo nascere, eppure forte della Vita di Dio, capace di farsi strada oltre ogni notte, ogni ostacolo, perché su questo germoglio, che ha salde radici ed è teso verso il cielo, si è posato “lo spirito di sapienza e di intelligenza, spirito di consiglio e di fortezza, spirito di conoscenza e di timore del Signore” (Is 11,2), come canta Isaia lasciando intravedere un fedele ritratto del Cristo. Lui è il germoglio atteso, che si fa strada attraverso la crosta dura della nostra terra, della nostra umanità ottusa, per renderci partecipi dei suoi stessi sentimenti, per farci parte della sua Vita che può capirsi chiaramente, senza ombre, con il Padre, sorgente di ogni bontà e con il suo Spirito, che si può posare finalmente su un figlio dell’uomo, viva immagine del cuore del Padre. Questo germoglio, crescendo, “farà sentire la sua voce potente per la gioia del nostro cuore”, canta l’antifona d’ingresso. In Lui ci è promesso un battesimo, un’immersione piena in “Spirito e fuoco”, mandato per compiere la sua azione purificatrice raccogliendo i figli di Dio dispersi e bruciando la paglia (cf Mt 3,12) inutile delle nostre illusioni. 

Sì, le nostre illusioni sono meno che paglia esposta al fuoco, eppure facilmente fanno breccia nel cuore, fanno breccia nel nostro immaginario, soprattutto nella nostra mentalità religiosa. Incontriamo qui l’altro richiamo della liturgia odierna, quello alla vigilanza e alla conversione. Un richiamo che questa volta suona con la voce austera e quasi violenta del Battista: “Razza di vipere”, afferma rivolgendosi ai farisei e sadducei presenti. In realtà si rivolge a tutte le persone, di ogni epoca e religione, che si sentono perbene, a posto con Dio. Coloro che sono vittime delle loro illusioni religiose, assai pericolose, perché confondono la docilità a Dio con la soddisfazione personale e il perseguimento dei propri progetti personali. Questo atteggiamento porta a non incontrare il Dio vivente, a non lasciarsi incontrare da Lui, creando come uno schermo illusorio che impedisce la vera visione. Se non si arriva a rinunciare al nostro amor proprio e alle nostre pretese, non possiamo fare un passo per corrispondere ai progetti d’amore che Dio ha per noi. Corrispondere alla voce, autorevole e mite, che ci chiama da dentro, che ci sorride, dentro, avrebbe detto un mio amico. Allora Dio finisce per essere a servizio dei miei progetti: finisce per diventare il mio assistente universitario, direbbe qulcuno, la mia badante, o se si preferisce, il notaio che si limita a certificare le mie aspettative e la mia giustizia. A un tale Dio, si voltano presto le spalle, con delusione, perché Dio ci vuol bene e non può che deludere le nostre illusioni cieche. Anche la Chiesa deve sentirsi richiamata: non diventare pula destinata al fuoco a causa della sua rassegnazione alla mediocrità, che è l’altra faccia del perfezionismo supponente che fa a meno di Dio. Scivola presto nella mediocrità. 

Al grande pericolo dell’illusione religiosa fa da controcanto l’umile accostarsi di tante persone al Battista, semplicemente “confessando i propri peccati”. Sono stati attratti da quell’annuncio: “Il regno dei cieli è vicino”, e desiderano esserne sfiorati, non restarne fuori. E davvero nessuno è escluso, perché nessuno è pronto a priori, nessuno è a posto. Non servono sforzi di buona volontà, accenni di buoni condotta, propositi o decisioni, tutte cose inutili. Conta ammettere la propria debolezza, constatare un fallimento. Umanamente, ci sono tanti motivi per non confessare i propri peccati: perché li ignoriamo, perché ci autogiustifichiamo, perché prevale la vergogna, spia del fatto che non si è ancora conosciuto un amore così grande da neutralizzare ogni confusione e guarire il nostro senso di colpa. Non si è ancora conosciuto il vero Volto di Dio. Ogni confessore sa, invece, che il peccato nascosto, rimosso, avvelena e uccide. Esposto alla luce dello sguardo di Cristo, il peccato è invece confessione e certezza della Misericordia che copre il peccato e ci abbraccia, come solo l’Amore, divinamente, sa fare.

Prima Domenica di Avvento

d. Bernardo Artusi csl – Certosa di Firenze

La liturgia di questa Domenica inaugura un nuovo anno liturgico, che sarà accompagnato particolarmente dalla lettura del Vangelo di Matteo. La liturgia coincide anche con l’inizio dell’Avvento e i testi tratteggiano le condizioni di un cammino battesimale. La nostra vita è un cammino di conoscenza, di approfondimento, di progressiva adesione a Cristo. Ci vengono incontro l’immagine del cammino, dell’incontro, del risveglio, della vigilanza attenta, dell’illuminazione, dell’essere rivestiti di luce. Quasi a condensare, con forza, il senso della nostra vita di fede e della nostra sequela.
“È ormai tempo di svegliarvi dal sonno” (Rm 13,11), ci esorta Paolo con urgenza. Se la nostra vita di battezzati è paragonabile a un risveglio, tanto che possiamo definirci come dei “vivi tornati dai morti” (Rm 6,13), perché siamo rinati in Cristo a una vita nuova, a una vita redenta, facciamo tutti continuamente esperienza del rischio di ricadere nel sonno della morte, dell’apatia, della disillusione. L’uomo “vecchio” può sempre riemergere per tentare di affermarsi e così renderci insensibili alla Vita dello Spirito in noi. Ecco che la liturgia, mentre le giornate si accorciano di giorno in giorno, ci invita a vegliare, a non cedere al sonno. A chiedere la grazia di avere un cuore ben sveglio, recettivo, desideroso di incontrare, di lasciarsi incontrare.
Si veglia nel desiderio, facendo spazio, tendendo l’orecchio, scrutando nel buio. Non si veglia solo in momenti privilegiati della nostra vita o della nostra giornata, ma sul filo del quotidiano, fra mille difficoltà, imprevisti, prove che si possono profilare per noi, attorno a noi, per i nostri contemporanei. Come ci insegna la tradizione monastica, si veglia a nome della Chiesa, a nome di tutti. Semplicemente, stando in attesa, e chiedendo il dono di avere il cuore ben orientato verso Cristo.
Così ci è dato di camminare, nella luce del Signore che ci illumina da dentro: luce che ci è data dalla Parola, dalla Chiesa, non ci trasmette qualche nozione astratta su Dio o sulla morale: no, è una luce che illumina salvando, perché ci mette in cammino verso la vera Luce, che promette di colmare le attese del nostro cuore, anche se è notte. Senza tale luce che risplende dentro, rimaniamo nel sonno dell’incoscienza e nel buio delle nostre supposizioni, delle nostre illusioni, delle nostre aspettative deluse. Una luce che ci invita a discernere, a scegliere verso dove muovere il prossimo passo, anche quando il cammino avanti si snoda tra molte incognite e non ci è dato vedere lontano.
Il salmo responsoriale ci invita: “Andiamo con gioia incontro al Signore”. Andiamo incontro al Signore risorto, Lui ci attende alla meta e tante volte lungo il percorso si lascia riconoscere. E ogni riconoscimento dà gioia, dà forza ai nostri passi. La nostra forza, la gioia, la luce vengono da Cristo, che ci chiama a camminare verso il Mistero del suo rinnovato incontro.
Un nuovo cammino, senza sapere come si snoderà il cammino. L’attesa può essere estenuante, per questo conta la qualità della nostra vigilanza: se attendiamo nell’angoscia della paura o piuttosto nella certezza del cuore che ricorda e ama. La paura blocca, paralizza, esaurisce le nostre energie, ed è sempre cattiva consigliera, finendo per renderci prigionieri del nostro io.
L’attesa nell’amore guarda a Dio, che sa. E la Chiesa ci raduna amorosamente in ascolto della Parola perché cresca con i suoi lettori; la Chiesa ci riunisce attorno al banchetto della Vita, perché, nutriti interiormente ricordiamo che l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori, anche se il nostro cuore spesso dimentica o tradisce. L’amore di Dio ci abita, anche se in modo oscuro, così da farci pellegrini, liberi cercatori, in attesa dell’incontro che salva. Ringraziamo per questo tempo che ci è donato per deciderci a vivere per Cristo, in Cristo, quali figli della luce.

SACRO CUORE DI GESù

Sacro Cuore di Gesù, confido in Te!;
Dolce Cuore del mio Gesù, fa ch’io t’ami sempre più!;

O Gesù di amore acceso, non Ti avessi mai offeso!.

Queste sono alcune delle tante amorose e devote giaculatorie, che nei secoli sono state e sono pronunciate dai cattolici in onore del Sacro Cuore di Gesù, che nella loro semplice poesia, esprimono la riconoscenza per l’amore infinito di Gesù dato all’umanità e nello stesso tempo la volontà di ricambiare, delle tante anime infiammate e innamorate di Cristo.
Al Sacro Cuore di Gesù, la Chiesa Cattolica, rende un culto di “latria” (adorazione solo a Dio, Gesù Cristo, l’Eucaristia), intendendo così onorare: I – il Cuore di Gesù Cristo, uno degli organi simboleggianti la sua umanità, che per l’intima unione con la Divinità, ha diritto all’adorazione; II – l’amore del Salvatore per gli uomini, di cui è simbolo il Suo Cuore.
Questa devozione già praticata nell’antichità cristiana e nel Medioevo, si diffuse nel secolo XVII ad opera di S. Giovanni Eudes (1601-1680) e soprattutto di S. Margherita Maria Alacoque (1647-1690). La festa del Sacro Cuore fu celebrata per la prima volta in Francia, probabilmente nel 1685.  
Santa Margherita Maria Alacoque, suora francese, entrò il 20 giugno 1671 nel convento delle Visitandine di Paray-le-Monial (Saone-et-Loire), visse con grande semplicità e misticismo la sua esperienza di religiosa e morì il 17 ottobre 1690 ad appena 43 anni.
Sotto questa apparente uniformità, si nascondeva però una di quelle grandi vite del secolo XVII, infatti nel semplice ambiente del chiostro della Visitazione, si svolsero le principali tappe dell’ascesa spirituale di Margherita, diventata la messaggera del Cuore di Gesù nell’epoca moderna.
Ella già prima di entrare nel convento, era dotata di doni mistici che si accentuarono con la sua nuova condizione di religiosa; ebbe numerose manifestazioni mistiche, ma nel 1673 cominciarono le grandi visioni che resero famoso il suo nome; esse furono quattro rivelazioni principali, oltre numerose altre di minore importanza.
La prima visione avvenne il 27 dicembre 1673, festa di s. Giovanni Evangelista, Gesù le apparve e Margherita si sentì “tutta investita della divina presenza”; la invitò a prendere il posto che s. Giovanni aveva occupato durante l’Ultima Cena e le disse: “Il mio divino Cuore è così appassionato d’amore per gli uomini, che non potendo più racchiudere in sé le fiamme della sua ardente carità, bisogna che le spanda. Io ti ho scelta per adempiere a questo grande disegno, affinché tutto sia fatto da me”.
Una seconda visione le apparve agli inizi del 1674, forse un venerdì; il divin Cuore si manifestò su un trono di fiamme, più raggiante del sole e trasparente come cristallo, circondato da una corona di spine simboleggianti le ferite inferte dai nostri peccati e sormontato da una croce, perché dal primo istante che era stato formato, era già pieno d’ogni amarezza.
Sempre nel 1674 le apparve la terza visione, anche questa volta un venerdì dopo la festa del Corpus Domini; Gesù si presentò alla santa tutto sfolgorante di gloria, con le sue cinque piaghe, brillanti come soli e da quella sacra umanità uscivano fiamme da ogni parte, ma soprattutto dal suo mirabile petto che rassomigliava ad una fornace e essendosi aperto, ella scoprì l’amabile e amante Cuore, la vera sorgente di quelle fiamme.
Poi Gesù lamentando l’ingratitudine degli uomini e la noncuranza rispetto ai suoi sforzi per far loro del bene, le chiese di supplire a questo. Gesù la sollecitò a fare la Comunione al primo venerdì di ogni mese e di prosternarsi con la faccia a terra dalle undici a mezzanotte, nella notte tra il giovedì e il venerdì.
Vennero così indicate le due principali devozioni, la Comunione al primo venerdì di ogni mese e l’ora santa di adorazione.
La quarta rivelazione più meravigliosa e decisiva, ebbe luogo il 16 giugno 1675 durante l’ottava del Corpus Domini. Nostro Signore le disse che si sentiva ferito dalle irriverenze dei fedeli e dai sacrilegi degli empi, aggiungendo: “Ciò che mi è ancor più sensibile è che sono i cuori a me consacrati che fanno questo”.
Gesù chiese ancora che il venerdì dopo l’ottava del Corpus Domini, fosse dedicato a una festa particolare per onorare il suo Cuore e con Comunioni per riparare alle offese da lui ricevute. Inoltre indicò come esecutore della diffusione di questa devozione, il padre spirituale di Margherita, il gesuita san Claude de la Colombiere (1641-1682), superiore della vicina Casa dei Gesuiti di Paray-le-Monial.
Margherita Maria Alacoque proclamata santa il 13 maggio 1920 da papa Benedetto XV, ubbidì all’appello divino fatto attraverso le visioni e divenne l’apostola di una devozione che doveva trasportare all’adorazione dei fedeli al Cuore divino, fonte e focolaio di tutti i sentimenti che Dio ci ha testimoniati e di tutti i favori che ci ha concessi.
Le prime due cerimonie in onore del Sacro Cuore, presente la santa mistica, si ebbero nell’ambito del Noviziato di Paray il 20 luglio 1685 e poi il 21 giugno 1686, a cui partecipò tutta la Comunità delle Visitandine.
A partire da quella data, il movimento non si sarebbe più fermato, nonostante tutte le avversità che si presentarono specie nel XVIII secolo circa l’oggetto di questo culto.
Nel 1765 la Sacra Congregazione dei Riti affermò essere il cuore di carne simbolo dell’amore; allora i giansenisti intesero ciò come un atto di idolatria, ritenendo essere possibile un culto solo al cuore non reale ma metaforico.
Papa Pio VI (1775-1799) nella bolla “Auctorem fidei”, confermava l’espressione della Congregazione notando che si adora il cuore “inseparabilmente unito con la Persona del Verbo”.
Il 6 febbraio 1765 papa Clemente XIII (1758-1769) accordò alla Polonia e all’Arciconfraternita romana del Sacro Cuore la festa del Sacro Cuore di Gesù; nel pensiero del papa questa nuova festa doveva diffondere nella Chiesa, i passi principali del messaggio di s. Margherita, la quale era stata lo strumento privilegiato della diffusione di un culto, che era sempre esistito nella Chiesa sotto diverse forme, ma dandogli tuttavia un nuovo orientamento.
Con lei non sarebbe più stata soltanto una amorosa contemplazione e un’adorazione di quel “Cuore che ha tanto amato”, ma anche una riparazione per le offese e ingratitudini ricevute, tramite il perfezionamento delle nostre esistenze.
Diceva la santa che “l’amore rende le anime conformi”, cioè il Signore vuole ispirare nelle anime un amore generoso che, rispondendo al suo, li assimili interiormente al divino modello.  
Le visioni e i messaggi ricevuti da s. Margherita Maria Alacoque furono e resteranno per sempre un picco spirituale, dove venne ricordato al mondo, l’amore appassionato di Gesù per gli uomini e dove fu chiesta a loro una risposta d’amore, di fronte al “Cuore che si è consumato per essi”.
La devozione al Sacro Cuore trionfò nel XIX secolo e il convento di Paray-le-Monial divenne meta di continui pellegrinaggi; nel 1856 con papa Pio IX la festa del Sacro Cuore divenne universale per tutta la Chiesa Cattolica.
Sull’onda della devozione che ormai coinvolgeva tutto il mondo cattolico, sorsero dappertutto cappelle, oratori, chiese, basiliche e santuari dedicati al Sacro Cuore di Gesù; ricordiamo uno fra tutti il Santuario “Sacro Cuore” a Montmartre a Parigi, iniziato nel 1876 e terminato di costruire dopo 40 anni; tutte le categorie sociali e militari della Francia, contribuirono all’imponente spesa.
Proliferarono quadri e stampe raffiguranti il Sacro Cuore fiammeggiante, quasi sempre posto sul petto di Gesù che lo indica agli uomini; si organizzò la pia pratica del 1° venerdì del mese, i cui aderenti portano uno scapolare con la raffigurazione del Cuore; si composero le meravigliose “Litanie del Sacro Cuore”; si dedicò il mese di giugno al suo culto.
Affinché il culto del Cuore di Gesù, iniziato nella vita mistica delle anime, esca e penetri nella vita sociale dei popoli, iniziò, su esortazione di papa Pio IX del 1876, tutto un movimento di “Atti di consacrazione al Cuore di Gesù”, a partire dalla famiglia a quella di intere Nazioni ad opera di Conferenze Episcopali, ma anche di illuminati e devoti governanti; cito per tutti il presidente dell’Ecuador, Gabriel Garcia Moreno (1821-1875).
Fu tanto il fervore, che per tutto l’Ottocento e primi decenni del Novecento, fu dedicato al culto del Sacro Cuore, che di riflesso sorsero numerose congregazioni religiose, sia maschili che femminili, tra le principali vi sono: “Congregazione dei Sacerdoti del Sacro Cuore” fondata nel 1874 dal beato Leone Dehon (Dehoniani); “Figli del Sacro Cuore di Gesù” o Missioni africane di Verona, congregazione fondata nel 1867 da san Daniele Comboni (Comboniani); “Dame del Sacro Cuore” fondate nel 1800 da santa Maddalena Sofia Barat; “Ancelle del Sacro Cuore di Gesù” fondate nel 1865 dalla beata Caterina Volpicelli, diversi Istituti femminili portano la stessa denominazione.
Attualmente la festa del Sacro Cuore di Gesù viene celebrata il venerdì dopo la solennità del Corpus Domini, visto che detta ricorrenza è stata spostata alla domenica; il sabato che segue è dedicato al Cuore Immacolato di Maria, quale segno di comune devozione ai Sacri Cuori di Gesù e Maria, inscindibili per il grande amore donato all’umanità.
In un papiro egiziano di circa 4000 anni fa, troviamo l’espressione della comune nostalgia d’amore: “Cerco un cuore su cui appoggiare la mia testa e non lo trovo, non ci sono più amici!”.
Lo sconosciuto poeta egiziano era dolente per ciò, ma noi siamo più fortunati, perché l’abbiamo questo cuore e questo amico, al pari di s. Giovanni Evangelista che poggiò fisicamente il suo capo sul petto e cuore di Gesù.
Possiamo avere piena fiducia in un simile amico, Egli vivendo in perfetta intimità col Padre, sa e può rivelarci tutto ciò che serve per il nostro bene.


Autore: Antonio Borrelli