San Piero in Palco

La millenaria chiesa di San Piero in Palco , in via di Badia a Ripoli, è una delle più  antiche  della periferia fiorentina, oggetto di importanti restauri e di studi tuttora in corso  da parte dei massimi ricercatori di storia fiorentina

Da quando è stata istituita la nuova parrocchia di San Piero in Palco, in piazza Elia dalla Costa, l’antica chiesetta nascosta fra gli alberi e gli ultimi orti, accanto al castello del Bisarno, ha preso popolarmente il nome di San Pierino  che la distingue anche dalla vicina pieve di San Pietro a Ripoli.

Memorie paleocristiane

In epoca etrusca e poi in quella romana un itinerario attraversava con un guado l’Arno tra le colline del Chianti e la città di Fiesole nei pressi dell’odierno San Pierino in Palco. La  tradizione diceva che poco lontano il fiume era attraversato anche da un ponte. Ne sono stati indicati i resti in alcune pigne di pietra scoperte nel fondo dell’Areno, al Girone. La pianura era stata resa fertile dal lavoro dei coloni. Lontano, a valle, si vedevano le mura di “Florentia” rosse di mattoni mentre in alto, davanti, splendevano i marmi di “Faesule”.

Sull’arrivo del Cristianesimo in Pian di Ripoli si possono fare soltanto illazioni, connesse alla diffusione della nuova religione nella stessa Florentia. Un momento favorevole appare il tempo dell’imperatore Adriano che fece costruire il nuovo tratto della via Cassia che passava ai limiti del Pian di Ripoli. La costruzione della Pieve a Ripoli appare remotissima, come si ritiene per quasi tutte le chiese dedicate all’apostolo Pietro. La Pieve a Ripoli si trova a circa un chilometro dalla chiesetta di San Pierino.

I Longobardi nel Pian di Ripoli (sec. VIII)

Nel VI secolo dopo Cristo una grande alluvione devastò la pianura. Negli anni successivi arrivarono in Toscana i nuovi signori del territorio, di stirpe longobarda. E’ noto che i Longobardi alla fine del VI secolo presero il dominio della Toscana mentre l’autorità dell’Impero romano di Oriente si  ritirava oltre gli Appennini, a Ravenna e negli altri territori adriatici. 

In Toscana i signori Longobardi preferirono stabilire i loro luoghi di residenza lontano dalle città, secondo i loro costumi.

 Molti segni e nomi restano a ricordare la presenza  dei Longobardi in Pian di Ripoli, Val d’Ema e nel vicino Chianti

Il nome Palco, di origine longobarda, indicava un piccolo rialzo sul terreno sul quale fu costruito il primo nucleo del Castello del Bisarno, la villa prossima a San Pierino. I manuali di storia della lingua italiana citano il nome Palco fra quelli tipici dei Longobardi insieme a Varlungo e Guarlone (nel senso di lungo guado e grande guado. 

Ci fu da prima un periodo oscuro di contrasti tra le antiche famiglie latifondiste latine e i nuovi dominatori longobardi.

L’opera bonificatrice dei Monaci Basiliani

Gli studi recenti hanno riconosciuto ai Longobardi il merito di avere promosso la bonifica del terreno, per molti indizi grazie alla  tecnologia di monaci Basiliani giunti dall’Oriente

Indizi della presenza dei seguaci di San Basilio in Pian di Ripoli sono offerti dal fatto che molti santi titolari di antiche chiese avevano culto nei paesi orientali che i monaci abbandonavano davanti all’espansione araba.. Basta ricordare l’oratorio di San Macario in cima al colle dell’Incontro, ma anche San Bartolomeo, Sant’Andrea, San Giorgio. La regola di San Basilio ha ispirato in tempi recentissimi la comunità di Bose, con la pratica della vita ritirata ma in comune e con una attenzione non solo alla preghiera ma anche alla vita attiva, come avvenne pure per i Benedettini. Anche parole di possibile origine greca, come “Anconella” fanno ritenere che i Basiliani siano stati i primi bonificatori del Pian di Ripoli, dopo le alluvioni dell’alto medioevo. Il nome Ripoli tramanda il ricordo delle rive innalzate dai monaci a difesa del terreno.

Tra le innovazioni tecniche diffuse dai Basiliani ci furono i metati dove si produceva la farina di castagne, la diffusione delle vigne miste con viti e pioppi e la diffusione dei mulini a ritrecine che permettevano di usare la scarsa acqua dei torrenti toscani per macinare il grano. Nel mondo antico le macine erano mosse dalla forza degli uomini o da quella delle bestie da soma. Con il ritrecine anche i piccoli torrenti potevano dare forza per trasformare il grano in farina.

La fondazione di San Pierino in Palco

Si può fare l’ipotesi che gli abitanti longobardi del castello del Bisarno abbiano costruito il primo nucleo di San Pierino. che riprese il nome della vicina Pieve di San Pietro. E’ stato osservato che nei dintorni di Firenze è frequente il caso di “chiese geminate”, dedicate a uno identico santo titolare, curiosamente tra loro molto vicine. Si pensi anche al caso di Sant’Andrea a Rovezzano e Sant’Andrea a Candeli.. In questi casi si ritiene che una frequentata dalla popolazione latina chiesa e vi sia stato praticato il rito latino e mentre l’altra sia stata frequentata dalla popolazione longobarda o di origine germanica, da poco stanziata sul territorio, che continuava a parlare nella propria lingua.  In qualche caso è stato supposto che nella chiesa longobarda sia stato praticato il cosiddetto culto ariano, prima della unificazione delle due comunità nel culto latino.

Ma in questo caso di San Piero in Palco abbiamo ai giorni nostri lo straordinario evento di ben tre chiese vicine l’una all’altra dedicate a San Pietro, primo papa. Perché circa settanta anni fa venne fondata nel Pian di Ripoli una nuova parrocchia che ebbe a sua volta il titolo di San Pietro in Palco. Allora non si pensò alla possibilità di equivoci perché la piccola e antica San Pierino non era più sede di parrocchia da qualche tempo ed era ormai officiata dal parroco di Badia a Ripoli. 

La fondazione di Badia a Ripoli (718 circa)

Nella stessa lontana epoca nella quale si costruiva la primitiva chiesetta di San Piero in Palco venne fondato nelle vicinanze anche un monastero: era la Badia a Ripoli. .

 Sulla fondazione della Badia a Ripoli e sui fondatori sono stati pubblicati nuovi studi nel corso dell’anno 2003. Autore della ricerca è Bernardo Zanchini, discendente degli antichi fondatori della Badia a Ripoli.

Alla fine del secolo VII il regno longobardo in Italia si era frantumato in una anarchia di piccoli duchi locali mentre continuavano le feroci contese per il possesso del titolo di re, a Pavia. Secondo racconti storici nel 711 il re Ansprad, esautorato, mosse alla riconquista del regno con l’aiuto di Adonald, un duca dei Bavari, già imparentato e alleato dei Franchi. Abile condottiero, saggio politico, benvoluto dalle stesse popolazioni sottomesse, Adonald ebbe il titolo di “Dux Liguriae” con un potere che si estendeva a gran parte della Toscana..

Secondo i recenti studi il duca Adonald intorno al 718 (data indicata da Scipione Ammirato) fondò la Badia a Ripoli, la dedicò a San Bartolomeo, un santo molto onorato dai Longobardi in Toscana, e nominò  la giovane nipote Eufrasia prima badessa del monastero secondo la Regola di San Benedetto.

 Qualche decennio dopo, nel 790, i fratelli Atroald, Adopald e Adonald (già terzo nella famiglia in ordine dinastico con questo nome) discendenti del duca Adonald confermarono la concessione di possessi e beni al monastero con una “Carta di offersione” che è uno dei più antichi documenti conservati all’Archivio di Stato di Firenze.. Il luogo del monastero è chiamato “Recavata”, col significato di terreno di recente bonificato. I recenti studi hanno dissipato gran parte dei dubbi che erano proposti dagli storici su questo famoso e citatissimo documento.

Nella carta è ricordata una pieve al quarto miglio da Firenze che sembra corrispondere all’attuale Pieve a Ripoli. 

Santa Brigida d’Irlanda e San Donato

Il guado dell’Arno divenne qualche decennio dopo la fondazione di Badia a Ripoli un punto di passaggio della nuova via di pellegrinaggio che dall’Europa del Nord e dalla Gallia raggiungeva Fiesole e attraverso il Chianti si dirigeva  verso Roma. Questa via fu  percorsa da San Donato, Sant’Andrea e Santa Brigida, i tre irlandesi che diffusero anche in Toscana il culto per San Martino, il generoso e severo vescovo di Tours.

I discendenti di Adonald in Pian di Ripoli

Gli studi hanno permesso di ricostruire la connessione dinastica tra le famiglie che nel medio evo dominarono il Pian di Ripoli, il Chianti e il Mugello

Dal primo duca Adonald ebbero origine varie famiglie. Alcuni discendenti lasciarono il loro nome a luoghi prossimi al Pian di Ripoli. Ad esempio si cita Monteripaldi, o Monte di Atripaldo. L’origine bavara di Adonald, già alleato dei Franchi, favorì la sopravvivenza della famiglia quando il franco Carlo Magno divenne primo sacro romano imperatore.

Il ramo che fu detto degli Ubaldini ebbe il feudo del Mugello, un altro ramo ebbe i feudi di Quona, presso Pontassieve, di Rèmole , Pelago e Rignano.

Da altri rami ebbero origine i Visdomini dai quali trasse origine San Giovanni Gualberto, fondatore dei Vallombrosani

E’ certo che i Visdomini avevano connessione familiare o alleanza con un’altra grande famiglia, quella degli Uberti 

I monaci di Vallombrosa  con la regola di san Benedetto seppero anche diffondere quell’attiva partecipazione alla vita civile e tecnica che aveva distinto tanti anni prima l’azione dei Monaci Basiliani.. Se oggi le colline di Firenze sono così belle un ringraziamento vada ai Vallombrosani.

Le isole del Bisarno

Allora l’Arno limpidissimo nella pianura di Ripoli, a pochi passi da Candeli, si divideva in due rami. Uno si stendeva in lenti meandri nella piana di Rovezzano e l’altro si dirigeva verso le colline di Sorgane. I due rami formavano una prima isola subito a valle dell’odierno Bagno a Ripoli, nome che ricordava un antico bagno pubblico di età imperiale romana.

 Poi i rami dell’Arno si tornavano a unire o all’altezza di San Pierino in Palco dove si congiungevano i depositi fluviali della Mensola e del fosso che scendeva da Sorgane e da Diacceto. Qua il terreno era favorevole alla formazione del guado .Il castello del Bisarno e la chiesetta di San Pierino erano luoghi di sosta lungo questo itinerario

A valle i rami del fiume si tornavano a dividere. Un letto del fiume divagava nella pianura di San Salvi tanto che la strada più frequentata passava per Ponte a Mensola e pochi frequentavano la via di Mezzo o via Mezzetta tra le paludi. L’altro ramo che prese il nome di Bisarno o “secondo Arno” percorreva la direttrice dell’odierna via di Ripoli. L’isola era coperta di paludi o lame di acqua che dettero origine al nome di via delle Lame.

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L’atto di donazione del 1003

Nell’anno 1003 la nobildonna Adelaisa degli Uberti sottoscrisse un solenne atto di donazione e lo datò “in populo S. Petri loco Bisarno” nell’anno 1003.

 Per gli studiosi di storia fiorentina questo è il primo documento nel quale è citata la chiesetta di San Pierino, già allora sede di un “populo”, ovvero parrocchia.  Si nota pure che il nome Bisarno, indicava non soltanto il ramo secondario del fiume ma anche lo stesso luogo tanto che per molti secoli indicò un’isola formata dall’Arno tra il Pian di Ripoli e Ricorboli. 

I terreni erano posseduti da una potente famiglia alla quale appartenne Bernardo degli Uberti che alla fine di quello stesso secolo si fece seguace di San Giovanni Gualberto e divenne uno dei grandi santi della Congregazione di Vallombrosa. Proprio in questi ultimo periodo i monasteri di San Salvi e poi quello di Badia a Ripoli divennero sedi dei monaci vallombrosani che controllavano il guado dell’Arno.

La grande piena del 1177

L’intera Toscana e in modo certamente devastante furono colpite nel 1177 da un vero e proprio cataclisma. Una grande piena fece alzare le acque dell’Arno e della Sieve. Tutti i ponti sul fiume furono allora travolti. In qualche parte il terreno i fiumi mutarono addirittura il percorso.

Negli stessi anni un evento storico determinò l’inizio di un nuovo fervido periodo di lavori anche nel Pian di Ripoli. Dopo la ben nota Battaglia di Legnano l’imperatore Federico Barbarossa venne a patti con i Comuni italiani che ebbero da allora il potere e la gestione dei fiumi, fino ad allora di competenza imperiale.

Da questo momento in poi si nota la costruzione e la diffusione sull’Arno di nuovi mulini per il grano e di gualchiere che usavano la forza dell’acqua per la lavorazione della lana..

 Le pergamene dei Vallombrosani conservano, questo è certo, memoria di numerosi contratti con i quali i monaci vallombrosani concedevano i terreni prossimi alla Badia  agli agricoltori per le bonifiche e ai mugnai per impiantare mulini. Le favorevoli condizioni climatiche del XIII secolo avevano favorito, come sanno gli storici, un notevole aumento della popolazione in Toscana.

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Il popolo di San Pierino e Montaperti – 1260

All’inizio del XIII secolo la chiesetta di San Pierino era passata sotto il patronato dei Ferrucci, grande famiglia di commercianti di metalli.Nel 1215 ne era patrono Lottieri di Aldobrandino Ferrucci.

 Era un segno del mutare dei tempi. I Ferrucci si vantavano di appartenere alle antiche famiglie latine od etrusche che avevano fondato Florentia. In tempi successivi il patronato o gestione della chiesa fu assunto dagli stessi parrocchiani.. Le campagne del Bisarno erano fertili e gli agricoltori ricavano grano e foraggio.dai terreni concessi da Monaci vallombrosani di Badia a Ripoli e di San Salvi.

 Nel 1260 il popolo di San Piero in Palco offrì vettovaglie all’esercito guelfo fiorentino ma la vittoria dei Senesi a Montaperti provocò il violento ritorno a Firenze dei nobili ghibellini. Il castello del Bisarno, accanto a San Pierino, fu incendiato.

Qualche anno dopo i Guelfi ripresero il dominio della città e da allora i nobili ghibellini furono costretti all’esilio o a farsi cittadini. 

Si sa che negli ultimi anni di quel secolo il castello era di proprietà dei Bardi, potentissima famiglia guelfa che pure vantava origini latine.  

 Il pontefice al guado dell’Arno (1275)

Pochi anni dopo i guelfi ripresero il potere ed il papa Gregorio X tentò invano di far concludere una stabile pace tra gli opposti partiti fiorentini. Nel 1275 di ritorno dal concilio di Lione il papa Gregorio X trovò Firenze ancora dilaniata da lotte fratricide. Per non entrare nella città il vecchio papa malato arrivò al guado di Varlungo per raggiungere San Pierino e Badia a Ripoli ma il fiume era in piena 

. Il vecchio papa con il suo corteo di cardinali arrivò da San Salvi. E’ possibile che il popolo sia stato avvisato e lo abbia atteso sulla riva. Ma le acque limacciose aumentavano. A Firenze comandavano i Guelfi oltranzisti che si vantavano di essere sostenitori del potere assoluto del papato su quello dell’impero.  

Ma questi guelfi oltranzisti si opponevano alla politica di pace di Gregorio X . Era questo il papa che aveva mandato Marco Polo in oriente per stabilire rapporti pacifici on la Cina e aveva raggiunto anche un accordo con la chiesa cristiana di Bisanzio. Il papa attraversò il nuovo Ponte alle mentre il popolo piangeva silenziosamente. Poi trascorse il Natale a Badia Ripoli dove possiamo immaginare che abbia ricevuto l’omaggio del popolo di san Pierino. Il papa morì in gennaio nei pressi di Arezzo.

Il recupero di un patrimonio d’arte

Tra il XIII secolo e la fine del successivo la chiesetta di San Pierino presentava i tipici caratteri delle piccole chiese romaniche della campagna fiorentina con una presumibile copertura in travi di legno

Ma se era umile e semplice all’esterno la chiesetta di San Piero in Palco si è rivelata la sede di stupendi affreschi databili tra la fine del XIII secolo e la fine di quello successivo.

Il recupero di questi affreschi, avvenuto a partire dal 1970 grazie a restauratori che sono ritenuti fra i più esperti in Italia e nel mondo è stato un’opera di eccezionale valore per la storia dell’arte. E’ stato recuperato un patrimonio artistico e culturale del quale erano rimasti in gran parte solo pochi ricordi.  Lo studio di queste opere permette perfino di recuperare taluni passaggi nella storia dell’arte che erano come anelli mancanti in una catena di eventi successivi.  Con gli organi statali a questo scopo preposti la comunità parrocchiale di Badia a Ripoli ha dato un contributo fattivo e prezioso, sia di impulso, sia di ricerca di risorse con la collaborazione di enti, associazioni e studiosi.

Giotto tra storia, tradizione  e fantasia 

L’ipotesi della presenza di  Giotto in San Pierino, almeno come consulente degli artisti oppure come visitatore,  può essere l’esito della nostra fantasia, appena vista la vicinanza del castello del Bisarno appartenente ai Bardi che di Giotto erano amici. 

Ma ci sono altre memorie della presenza del maestro in questo territorio a levante di Firenze. Basta citare la “Madonna delle rose” di scuola giottesca di Santa Maria a Ricorboli. che è stata oggetto di recente di grandi studi. La fantasia popolare ha attribuito alla scuola di Giotto anche l’umile Madonna dipinta in un tabernacolo campestre di via delle Lame, che per molti decenni è stata conservata proprio in San Pierino in Palco.

 .Eventi che possiamo immaginare (guerre ed alluvioni) indussero chi aveva il patronato della chiesa a nascondere i vecchi dipinti sotto un nuovo intonaco e purtroppo perché questo meglio aderisse alle pareti i vecchi colori furono spesso picchettati.

Si finì per ignorare del tutto quali meraviglie fossero celate sotto il nuovo intonaco. .All’inizio del secolo scorso cominciò il recupero e la riscoperta,..

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Il mistero della “Misericordia”

.Il caso più misterioso è quello dei resti di una tempera rimasta allo stato di “sinopia” o traccia per un affresco che sembra non sia stato mai portato a tempera. Il frammentario è custodito in sacrestia.perché al suo posto sulla parete di sinistra della navata c’è oggi uno degli affreschi dipinti in tempi successivi. Il dipinto doveva rappresentare una “Misericordia”, un’immagine della Vergine che stende il manto protettivo sopra i suoi fedeli.  Sono stati recuperati i contorni della parte destra del manto, parte del contorno del volto e le tracce di un gruppo di mercanti fiorentini.

 Questo tema sacro, la Madonna protettrice, era ispirato alla famosa immagine della Vergine che in quei tempi si onorava a Bisanzio, ancora capitale dell’Impero romano di Oriente e sede di agenzie commerciali fiorentine.  E’ possibile che i Ferrucci antichi patroni della chiesa o i Bardi proprietari del vicino castello abbiano voluto ripetere questa immagine che è stata ritrovata sotto due successivi strati di affreschi.. Oppure sotto i ricchi costumi dei fedeli c’erano i popolani del Bisarno? 

Non risulta che siano stati compiuti studi critici da esperti su questo esiguo resto di affresco o di tempera ma la “Misericordia” di San Pierino è stata già indicata da Umberto Baldini come uno dei più antichi  resti della innovatrice pittura fiorentina tra il XIII e il XIV secolo, nel passaggio tra Cimabue e Giotto

Certo è che sta già avvenendo in questo dipinto il passaggio tra l’antica pittura che allora veniva detta “greca” e quella successiva che gli esperti chiamano “gotica” ed è la grande arte giottesca. Si passa a una pittura che dipinge anche la vita e i suoi personaggi quotidiani. Restano un mistero l’autore del dipinto di San Pierino e anche il motivo che impedì al pittore di portare a termine l’opera che fu presto nascosta con un altro affresco.

Non azzardiamo oltre nelle ipotesi ma la fantasia può proporre a questo punto le più avventurose e avvincenti ipotesi..

Il gruppo dei mercanti ha evidenti somiglianze con una tavola conservata nel Museo dell’Accademia a Firenze e soprattutto con i mercanti degli affreschi giotteschi di Assisi.  Ricordiamo che Giotto al tempo degli affreschi di Assisi aveva circa trent’anni ed erano gli anni tra il 1297 e il 1299.  Tralasciamo qua le ben note osservazioni sull’attribuzione dei dipinti di Assisi a Giotto. Ma proprio lo studio delle pitture fiorentine potrebbe contribuire a dare nuove certezze alle ricerche su quelle di Assisi.

Il tema della “Misericordia” fu poi ripreso in un affresco dei Servi di Maria, alla Santissima Annunziata, e nel celebre dipinto conservato nel Museo del Bigallo. Nello stesso tempo ebbe diffusione a Macerata e nelle Marche. 

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L’”Angelo crucifero”

Di poco successivi alla “Misericordia” o a questa contemporanei sono stati indicati i resti dei dipinti nelle pareti laterali del coro, o presbiterio, o abside del tipo a  “scarsella” che ha forma rettangolare, come quella del Battistero di Firenze. La forma rettangolare era meno diffusa rispetto a quella circolare ma si ha altri esempi in Val d’Ema..

 Il tema di questi affreschi era la vita di San Francesco, fatto sorprendente in una chiesa dedicata a San Pietro. Non va tuttavia dimenticato che i primi seguaci di San Francesco erano passati nel Pian di Ripoli meno di un secolo prima, nel viaggio da Assisi a Firenze..

Il frammento più significativo è l’Angelo che assume l’aspetto della figura di Cristo e volando imprime le stigmate a San Francesco. Si era da poco superato il periodo della statica pittura di ispirazione bizantina o greca e l’autore ebbe l’ardimento tecnico di dipingere un corpo con le braccia distese che ricordano la Croce ma sembrano anche ali. Solo un grandissimo artista poteva tentare qualcosa di simile, allora.

Senza voler qua precedere le conclusioni degli esperti  si può ricordare quali siano i più noti o meno noti esempi di “Angelo o Cristo Crucifero” allora dipinti.

Un ben noto esempio di “Angelo Crucifero”è nella Basilica di Assisi.. E’ uno degli episodi delle “storie francescane” commissionate a Giotto  da fra Giovanni de Muro, ministro generale dei francescani, datato agli anni precedenti il 1300..  Si discute ancora sulla effettiva partecipazione di Giotto all’affresco ma si ammette che il maestro abbia almeno dipinto gran parte dell’opera prima di una sua partenza per Roma.

Il tema si presenta anche in una tavola che oggi si trova al Louvre ma fu dipinta intorno al 1300 per la chiesa di San Francesco a Pisa. La tavola porta la firma  “Opus Jocti florentini”.  Si discute se tutto il lavoro sia davvero di Giotto o se sia attribuibile alla bottega.  La datazione è indicabile intorno al 1300, quando Giotto aveva poco più di trent’anni.

Recentissime scoperte hanno fatto ritrovare lo stesso soggetto in alcuni affreschi nella Basilica del Santo a Padova. Questi dipinti sono oggetto di attenti studi. Anche in questo caso c’è una lunga disputa sull’attribuzione dell’opera che vecchie testimonianze già attribuivano a Giotto quando lavorò nella cappella degli Scrovegni, tra il 1302 e il 1305, o un decennio dopo in un successivo soggiorno a Padova..

Infine Giotto  dipinse il soggetto dell’Angelo che in forma di Cristo imprime le stigmate anche nel ciclo di affreschi dipinti per la Cappella Bardi in Santa Croce, a Firenze.

Il tema degli Angeli in volo e dell’”Angelo Crucifero” fu dipinto anche da Taddeo Gaddi, il più autorevole maestro della scuola di Giotto.

Una tavoletta con l’”Angelo Crucifero” è conservata nel Museo dell’Accademia di Firenze. L’insieme delle tavole era stato dipinto per l’allora nuovo convento francescano di Santa Croce, a Firenze. E’ ignota la datazione, proposta intorno al 1320. Per qualche secolo le opere furono dubbiosamente attribuite a Giotto ma poi sono state ritenute opere giovanili di  Taddeo Gaddi che tornò a dipingere il tema anche in tarda età nel grandioso affresco nel refettorio di Santa Croce, ancora a Firenze.

Austerità di Badia a Ripoli

Ci si può domandare perché San Pierino e anche la Pieve di San Pietro a Ripoli siano stati così decorate mentre nessun affresco sia stato mai ritrovato nella Badia a Ripoli. oppure oltre l’Arno nella Badia di San Salvi. La risposta è facile per chi conosce la storia dei Vallombrosani: agli inizi le loro chiese dovevano essere povere di dipinti e non dovevano avere neppure l’intonaco, secondo la rigorosa tradizione voluta dallo stesso fondatore

L’’esercito di Arrigo VII (1312) 

La mancata conclusione del dipinto della “Misericordia” e la perdita o almeno i danni alle opere immediatamente successive possono essere stati provocati da qualche drammatico evento.

 Ecco che cosa accadde in quei tempi nel Pian di Ripoli. Dopo alcuni decenni di quiete e anche di clima favorevole il Pian di Ripoli fu devastato nel 1312 dal  passaggio dell’esercito imperiale di Arrigo VII.. 

L’imperatore Arrigo VII. aveva dato motivi di speranza a Dante in esilio che si attendeva di tornare in Firenze al seguito dell’imperatore. La gente atterrita fuggì lasciando per terra le preziose stoviglie, i tesori di casa, che i cavalieri calpestarono: il quadretto fu dipinto in una miniatura da un  artista al seguito imperiale. Ma il comune fiorentino era ormai troppo potente e Arrigo VII si ritirò nella Val di Pesa a Passignano

Castruccio degli Antelminelli (1325)

E’ possibile che devastazioni peggiori siano avvenute negli anni successivi, intorno al 1325 quando Castruccio Castracani degli Antelminelli sconfisse i Fiorentini ad Altopascio e pose il campo nella pianura di Signa e lasciò libere le bande di fare scorrerie anche in Pian di Ripoli.. Per sfuggire ai saccheggiatori molti abitanti del Pian di Ripoli si gettarono mell’Arno e annegarono. 

La piena del 1333  e i suoi effetti 

Nel 1333 una storica piena sommerse il Pian di Ripoli e il Bisarno alla quale seguì nel 1348 la peste. Si può datare ancora a questi anni drammatici anche una nuova devastazione di San Pierino. E’ certo che la piana sommerse la fertile isola del Bisarno che rimase da allora un renaio incolto almeno per due secoli. Pochi anni dopo il Pian di Ripoli fu sommerso da una nuova piena quando franò una parte del Monte Falterona e i detriti arrivarono fino a Firenze.. Il paesaggio a valle di San Pierino divenne quello solitario e inabitato che appare nella “Carta della Catena”. 

Ma nella storia del Pian di Ripoli e in quella di Firenze la piena del 1333 anche ebbe indiretti effetti nella vita sociale e politica..  L’impeto delle acque distrusse tutti i mulini per il grano e le gualchiere per la lavorazione della lana che si trovavano lungo il fiume, compresi quelli del Girone, di Quintole e di Remole, prossimi al Pian di Ripoli. Per la ripresa della vita economica cittadina il Comune concesse alla famiglia degli Albizi la ricostruzione e la gestione degli impianti. Con una avventurosa manovra finanziaria gli Albizi si procurarono il finanziamento con un prestito concesso dall’Arte della Lana. Ma con la gestione dei mulini gli Albizi e le grandi famiglie a loro vicine, come gli Alberti e i Bardi, cominciarono a prendere il governo del comune, salvo le brevi parentesi del Duca di Atene e del Tumulto dei Ciompi. 

Eredità di tecnica e di arte

Ecerto che in Pian di Ripoli si tramandava il ricordo che in San Piero in Palco avevano lavorato Taddeo Gaddi e del figlio Agnolo, allievi e continuatori di Giotto.

.Non si può indicare una data certa che faccia da frontiera fra opere che si possano ancora definire di scuola giottesca ed altre della scuola di Taddeo Gaddi.  L’opera del discepolo comincia ad acquistare autonomia a partire dal 1320 circa

. La morte di Giotto, nel 1337, è una data che pone un termine di riferimento certo anche per qualsiasi ipotesi sugli autori dei dipinti in San Pierino.  Dopo la morte del sommo maestro l’ormai esperto Taddeo ne ereditò la bottega mentre già lavorava col figlio Agnolo e altri pittori ..

Negli affreschi di San Pierino si riconoscono subito alcuni segni formali della tecnica di Taddeo Gaddi, come i tipici disegni geometrici delle cornici dipinte. Secondo la tradizione imitavano gli intagli marmorei nella Basilica di San Miniato. Poi ci sono altri segni stilistici e formali a partire da quella che viene definitiva la “supremazia del disegno” tipica della scuola fiorentina in concorrenza o contrasto con la “supremazia del colore” che negli stessi anni distinse la scuola senese. Si vuole mettere in evidenza che proprio l’abilità e l’espressione del disegno sono i caratteri che per primi colpiscono chi osservi queste opere. Tipica di Taddeo è infine la forte espressione data ad ogni figura, a differenza del più dolce tono del figlio Agnolo.

Resta tuttavia ancora difficile indicare quali opere possano essere della stessa mano di Taddeo oppure di qualche suo allievo.. 

Il San Biagio di Stefano Fiorentino

 Una recente scoperta ha permesso di attribuire a Stefano Fiorentino, un allievo prediletto di Giotto, la grande figura di vescovo sulla parete di sinistra della navata.  Autore dello studio è il professor  Miklos Boskovits che da molti anni dedica le sue ricerche alle pitture nel Pian di Ripoli e dintorni 

Stefano era parente di Giotto, forse figlio di una sorella, quindi nipote. Dette il nome dell’illustre nonno maestro al proprio figlio meglio conosciuto come “Il Giottino”.

Miklos Boskovits ha attribuito la grande figura del vescovo a Stefano Fiorentino mediante il confronto accurato con le altre poche opere rimaste di questo pittore. Purtroppo i bombardamenti del 1944 distrussero a Pisa i più noti capolavori di questo artista. Per studiare le sue opere bisogna andare in Lombardia, in Lombardia, all’abbazia di Chiaravalle Milanese, a Cassano d’Adda, a Vertemate. nel Duomo di Monza.

Alcuni indizi fanno ritenere che l’affresco sia stato dipinto nel 1335 o negli anni immediatamente seguenti. Si ricordi  nel 1333 e pochi anni dopo il Pian di Ripoli fu investito da due tremende alluvioni. San Pierino in Palco rimase fuori dalle onde ma ebbe bisogno di restauri. Boskovits osservando l’immagine del miracolo, il soccorso prestato a un bambino, ha indicato nella figura il vescovo martire San Biagio. Secondo la leggenda San Biagio liberò un bambino da una spina conficcata in gola. A Stefano Fiorentino è stato attribuito anche il “San Giovanni” del quale sono apparse tracce accanto a San Biagio. Il tema di San Biagio e del suo miracolo può essere un ricordo dei soggiorni di Stefano a Milano dove questo santo aveva una devozione popolare.

A Stefano Fiorentino pare attribuibile quanto resta dell’affresco dedicato a San Giovanni Battista, a sinistra di San Biagio.

Tempi di drammatici eventi

Proprio il nome, la fama degli autori, la bellezza delle opere rende difficile immaginare perché siano state nascoste, deturpate o ridipinte pochi anni dopo la loro esecuzione. Di nuovo occorre pensare a eventi drammatici.

Nel 1446 un altro evento che può avere in qualche modo avere effetto sulle vicende di San Pierino: il fallimento della compagnia finanziaria dei Bardi troppo esposti nei prestiti ai regnanti stranieri. Tuttavia i Bardi non persero il possesso del castello, almeno per qualche decennio, e possono avere ancora finanziato i lavori in San Pierino che rimaneva sotto il patronato del suo popolo, vale non soggetto ad alcun nobile o mercante o prelato.

Seguì nel 1348  un altro evento devastante: l’epidemia della peste nera.  E’ almeno tramandato dai racconti che in questa occasione tanti affreschi in Firenze furono  allora ricoperti di calce e di intonaco perché si credeva che anche nei colori si nascondesse una delle cause o degli agenti che diffondevano il terribile morbo..Ci si può domandare se anche i primi affreschi di San Pierino siano stati coperti di calce. 

L’iscrizione del 1360

Nello studio per datare l’opera di Stefano Fiorentino il professor Miklòs Boskovits ha potuto osservare che parte dell’affresco scompare  sotto uno dei pilastri laterali che sorreggono la copertura della chiesa. Se ne deduce che qualche tempo dopo la pittura dell’affresco di San Biagio la chiesa fu completamente ristrutturata .e questa volta in forme gotiche od ogivali. Fu allora abbattuto anche il vecchio tetto romanico con travature di legno.. 

.Per datare gli anni di questa ristrutturazione architettonica il professor Boskovits ha preso per punto di riferimento due iscrizioni. Una si legge ancora nella chiesa, nel pilastro di sinistra del presbiterio. La piccola lapide, in pietra reca incise queste parole:

“A:D. M. MCCCLX PRIMA DOMINICA DE ADVENTU DE MENSE NOVEMBRE DIE VIGESIMO OCTAVO FUNDATA FUIT”

.Non sappiamo a quali opera si riferisca la piccola targa e neppure se quello  sia il suo luogo originario. Resta certa la data del 28 novembre dell’anno 1360  come inizio di lavori che, si può presumere, riguardavano la chiesa e ne mutavano l’architettura. 

Chiassosa disputa tra pittori

E’ divertente ricordare che in un racconto del Sacchetti un gruppo di artisti fiorentini si riunì nel convento di San Miniato e tra una bevuta e un’altra di buon vino disputarono su chi fosse il maggior pittore dopo Giotto. Il vecchio Taddeo Gaddi sentenziò che dopo Giotto … “questa arte è venuta e viene mancando tutto dì”.

Ma a quella riunione erano presenti alcuni artisti che da lì a poco avrebbero avviato una vera e propria ripresa dell’arte italiana.

Alluvioni e saccheggi (1362)

Negli anni immediatamente successivi due drammatici eventi sconvolsero di nuovo il Pian di Ripoli. Di uno possiamo vedere ancora i devastanti effetti se facciamo una breve passeggiata fino all’Arno e osserviamo le muraglie che emergono in mezzo al fiume davanti alla Bellariva. Corrispondono ai resti di un muraglione che franò nel fiume per una grande piena,

. Come natta Matteo Villani. Ma in quello stesso anno 1362 durante la guerra tra Pisa e Firenze la terribile Compagnia Bianca fece irruzione nel Chianti e arrivò anche nel Pian di Ripoli con saccheggi e rovine.

L’iscrizione del 1365

E’ datata agli anni immediatamente successivi a questi eventi una seconda iscrizione che, come riferisce il Boskovits, si leggeva un tempo sull’altare maggiore:

“A.D. MCCCLXV QUESTA CAPPELLA FECE DIPIGNERE GIO. DI PIERO BANDINI DI BARONCELLI PER LA SUA REVERENZA PER RIMEDIO DELL’ANIMA SUA E DE SUOI MORTI:”

Si può dunque dedurre che a questa data, l’anno 1365,  la chiesa aveva già avuto la volta ogivale e anche la cappella maggiore aveva avuto nuovi affreschi .

Gli affreschi di Giovanni Del Biondo

Quando all’inizio del Ventesimo secolo cominciò la riscoperta degli affreschi in San Pierino i primi osservatori furono impressionati dai volti di angelo apparsi sulla parete di fondo dell’abside dove, purtroppo, una finestra era stata aperta proprio al centro del dipinto. 

In un recente numero di “Arte Cristiana” il professor Boskovits ha preannunciato l’esito di suoi studi su questi affreschi ed ha proposto il nome di Giovanni del Biondo, noto per i suoi lavori nel Valdarno.

Agnolo Gaddi 

Ancora una volta un anno stabilisce un punto di riferimento: è il 1366, l’anno della morte di Taddeo Gaddi.  Ma anche in questo caso nel passaggio della bottega o scuola tra padre e figlio c’è un periodo indeterminato nel quale è difficile indicare a quale mano si possano attribuire certe opere.

La tradizione e le prime impressioni fecero attribuire alla scuola di Agnolo Gaddi alcune delle opere in San Pierino tra le quali l’affresco con la Vergine che si trova all’ingresso del corridoio laterale che conduce alla sacrestia. 

. E’ stato osservato che nella vicenda artistica di Agnolo Gaddi ci sono almeno due fatti storici determinanti.

 Uno è il Tumulto dei Ciompi (1774)  ribellione del popolo più povero al quale i Gaddi si sentivano più vicini. Anche i temi della.pittura di Agnolo diventano più semplici.

 L’altro evento è la temporanea fortuna della famiglia degli Alberti, gli stessi che avevano i loro possessi in Pian di Ripoli, sul colle del Paradiso. 

Recentissimi studi  (“Arte Cristiana, 2004) hanno riproposto il tema dell’attività di un misterioso autore  attivo nella campagna fiorentina noto come “Maestro di Barberino”, per una sua opera riconosciuta a Barberino Val d’Elsa. Le affinità di stile. la congruità dei tempi,  inducono a proporre anche questi affreschi di San Pierino, dai toni più dolci e sfumati, tra quelle studiabili in questa ricerca.  Questo maestro collaborò strettamente con Pietro Nelli a San Caterina a Rimezzano e risentì dello stile di Agnolo Gaddi e di quello dell’Orcagna.

Del Trecento è anche il lastrone funerario a sinistra dell’affresco sulla parete esterna di San Pierino nel quale è scolpita la figura di un antico rettore della chiesa.

Le decorazioni della volta

Senza arrischiare ipotesi di attribuzioni possiamo ora osservare di nuovo gli affreschi di San Pierino.  Dopo quella chiassosa disputa narrata dal Sacchetti qua possiamo vedere i primi segni di una rinascita della pittura fiorentina nella tradizione di Giotto. E’ un avvio di primavera nel quale bisogna ricercare i segni di future grandi novità.

Cominciamo dalla volta. Di forte interesse appare la recuperata decorazione dei costoloni in muratura con vigorose fasce bianche e nere che mettono in risalto il potente slancio dell’architettura.

Lo stesso motivo di decorazione prosegue nella parte superiore delle pareti della navata. Ogni parete laterale è divisa in due parti da un semipilastro centrale sul quale si impostano le arcate delle volte. Le lunette, nella parte superiore delle pareti, sono incorniciate anch’esse da fasce bianche e nere ed in tutte è

 inoltre dipinto un identico emblema, un grande cerchio nel quale schematicamente raffigurata una porta con serratura e campanelle in ferro.  Il disegno ricorda lo stemma dell’Arte della Seta, o di Porta Rossa

La parete di destra

La parete a destra di chi entra nella chiesa è divisa in due parti dal semipilastro centrale, costruito quando fu alzata la copertura a volte. La parte della parete più vicina all’ingresso era occupata, almeno per la metà., da un dipinto andato quasi interamente perduto; restano soltanto la cima di un monte, di stile giottesco, e la parte superiore della testa di una figura che dalla capigliatura irsuta o incolta sembra essere stato un eremita o San Giovanni Battista, oppure una santa penitente.

Accanto a questo dipinto si trovano, chiuse in un’unica cornice  ma a loro volta separate da una fascia decorata, due figure di santi abbastanza bene conservate: a destra un santo in abito francescano , forse lo stesso San Francesco o Sant’Antonio, e a sinistra una santa, con capelli biondi e veste rossastra, forse Santa Chiara.

La misteriosa “Misericordia “ di San Pierino apparve trent’anni fa sotto questi affreschi.

 Sul semipilastro centrale che divide in due specchi la parete di destra è dipinta una solenne figura di santo, in una nicchia trilobata. Il santo è stato indicato  come l’apostolo Giacomo Maggiore, fratello di San Giovanni, forse con un raffronto con analoga figura a San Miniato.  Lo storico d’arte Miklos Boskovits ha proposto come autore di questa figura (in “Pittura fiorentina alla vigilia del Rinascimento”, Firenze, 1975) il pittore Pietro Nelli con una ipotetica data per l’esecuzione fra il 1365 e il 1370. 

La parete di sinistra

Nella parete a sinistra di chi entra, uno studio particolare merita la decorazione della prima lunetta prossima all’ingresso perché ha due temi del tutto diversi: a sinistra la decorazione appare di uno stile più antico, imitante gli intarsi bianchi e nero di marmo presenti nelle chiese romaniche, mentre a destra ci sono fasce a motivi geometrici e minuti, di gusto più recente che ricordano il gusto diffuso dalla bottega degli Orcagna. 

La parete, sotto questa prima lunetta, conserva frammentari i resti di  due diversi dipinti. Il primo ha per tema il Battesimo di Gesù, l’altro è il San Biagio, attribuiti a Stefano Fiorentino.

Il “Giudizio Universale”

Sulla parete retrostante la facciata è stata recuperata una parte di un autentico . capolavoro., un “Giudizio Universale”.  Purtroppo l’apertura di un finestrone, nel 1772, provocò la perdita irrimediabile di una vasta area, la più significativa, del dipinto trecentesco,.

Resta una parte della figura di Gesù, con i piedi piagati, su un trono circondato  da angeli. A sinistra è ben conservata la figura della Madonna, a destra quella di un santo, di aspetto giovanile e identificabile in San Giovanni Evangelista. In alto a sinistra vi sono angeli con i segni della Passione (Croce e lancia. Sotto la figura di Cristo trionfante si vedono angeli che suonano trombe, sotto i quali appaiono a sinistra schiere di beati, alcuni risorgenti dalla tomba, e a destra schiere di condannati e demoni.. Sull’attribuzione di questa grande opera non c’è per ora certezza definitiva. 

L’opera di Pietro Nelli

Pietro di Nello o Pietro Nelli era nato a Rabatta, nel Mugello, tra Borgo San Lorenzo e Vespignano. Oggi il villaggio è attraversato da una via solitaria, preferita dagli amici delle passeggiate nel verde. Era dunque nato nella terra e nel paesaggio di Giotto Attivo dal 1365 morì nel 1419. La sua presenza nel Pian di Ripoli è certa nella Pieve di San Pietro ma lavorò anche all’Impruneta e in Santa Caterina dì Alessandria a Rimezzano. 

E’ certo che ai suoi tempi fu riconosciuto come un vero maestro e la memoria si mantenne soprattutto nel Mugello.

E’ certamente un artista di particolare interesse nel passaggio tra l’arte del Trecento e quella del Quattrocento. 

Capolavori d’arte fra Arno ed Ema

Uno stretto legame non solo temporale ma soprattutto stilistico e artistico unisce alcuni cicli di affreschi:nelle chiese tra l’Arno e l’Ema.. 

A San Miniato e a Santa Caterina a Rimezzano in Val d’Ema lavorarono Spinello Aretino e Pietro Nelli.

In Santa Brigida al Paradiso lavorò Niccolò di Pietro Gerini, . insieme a Lorenzo di Niccolò, Ambrogio di Baldese e Mariotto di Nardo.

Questi artisti seguendo gli insegnamenti dell’Orcagna  ripresero la grande lezione di Giotto in forma più moderna. E rinnovarono la pittura fiorentina

A Pietro Nelli sono stati attribuiti o riconosciuti gli affreschi di San Pietro a Ripoli, databili fra il 1370 e il 1380, ma anche dipinti  nell’ex convento delle Campora e all’Impruneta..

I Biliotti  patroni di San Pierino (1451)

Ci sono in questa storia nuovi misteri.. Il primo resta ancora il motivo che indusse, non sappiamo chi, a nascondere  così suggestive opere d’arte. Qualche indizio può essere offerto dalla storia del vicino castello del Bisarno. Nell’anno 1451 il castello fu venduto da Piero di Ubertino Bardi a Giovannozzo di Betto Biliotti. La famiglia Biliotti nel 1472 acquistarono il patronato della chiesa dai parrocchiani.. Sul portale della chiesa i Biliotti misero allora il proprio stemma in pietra.

La Villa del Bisarno ai Capponi (1490)

Lo stemma dei Biliotti si è conservato fino ad oggi ma il patronato dei Biliotti ebbe invece durata assai più breve perché nel 1490 il vicino palazzo del Bisarno fu ceduto a Bernardo di Niccolò Capponi . I parrocchiani riacquistarono allora il patronato che comprendeva il diritto di eleggere il parroco, come allora si usava. 

La mappa di Leonardo da Vinci (1303)

Alla fine del XV secolo il Pian di Ripoli appare nel disegno della celebre “Veduta della catena”! che era conservata a Berlino ed ora conosciamo nella grande copia a colori conservata nel “Museo di Firenze com’era”. Nella veduta l’intero Bisarno appare come un territorio deserto, con macchie di alberi. Nel fondo si notano costruzioni e grandi filari di piante di alto fusto che, si può immaginare, nascondono San Pierino e il castello che gli ‘ prossimo.

Nel 1503 il Pian di Ripoli fu disegnato da Leonardo da Vinci in una mappa topografica.  Non sappiamo per quale motivo Leonardo non abbia indicato la posizione di San Pierino ma abbia invece indicato con  stupefacente esattezza il “mulino delle monache” all’angolo tra via delle Lame e via di Badia a Ripoli.

Resti di un mulino si notano ancora in via delle Lame, quasi all’angolo con via di Badia a Ripoli, a pochi passi da San Pierino in Palco. Oggi si vede soltanto il rudere di un muro al lato della via ma gli scava pochi anni fa fecero scoprire una grande costruzione.

 Il progetto di Leonardo aveva preso l’avvio da un progetto avventuroso del Comune di Firenze che intendeva sottomettere la ribelle città di Pisa mediante la deviazione del fiume..Ma Leonardo rivolse i suoi studi alla bonifica del territorio e alla creazione di un canale di navigazione tra Firenze e il mare.

Gli  Spagnoli in Pian di Ripoli (1529)

I fiorentini credevano ancora di essere una grande potenza quando la sera del 14 ottobre 1529 dal valico di San Donato in Collina discese e si accampò in Pian di Ripoli l’esercito imperiale di Carlo V.

La povertà dei soldati spagnoli, addirittura la netta superiorità di armamenti del comune, la avvenuta coalizione tra tutti i repubblicani, seguaci di Savonarola e perfino discendenti degli antichi ghibellini oltre che mercanti e patrizi, faceva ritenere Firenze invincibile dentro la sua grande cerchia di mura..

Con scherno i Fiorentini chiamarono “pidocchi” gli avversari e andarono a vendere nei loro accampamenti ricordi della città e viveri. Si può immaginare che in quei giorni anche la chiesetta di San Piero insieme al Castello del Bisarno abbia ricevuto gravi danni dalle truppe accampate in Pian di Ripoli..

Nell’agosto successivo dopo la sconfitta dei Fiorentini nel castagneto di Gavinana fu fatto l’accordo di pace. Firenze evitò il saccheggio ma con Alessandro cominciò il ducato dei Medici che poi con Cosimo I divenne granducato,

I Capponi mantennero a lungo la proprietà del Castello anche nel periodo storico del Granducato mediceo ed ebbero molta cura per San Pierino.

Scomparsa degli affreschi e nuovi altari

Non sappiamo quanto gli affreschi di San Pierino siano rimasti danneggiati in questi eventi, se fossero recuperabili, e perché siano stati nascosti sotto la scialbatura e sotto nuovo intonaco. Nel Cinquecento le chiese fiorentine ebbero quasi tutte una nuova architettura interna, adeguata  alle tendenze diffuse dal Rinascimento e per seguire le disposizioni liturgiche seguenti al rinnovamento religioso del Concilio di Trento. 

Si delineano molte cause e motivi che possono avere contribuito a fare nascondere le pitture trecentesche. E’ da notare che i Capponi e le altre famiglie vicine dotarono San Pierino di nuovi capolavori, forse anche per sollecitazione dei Vallombrosani  che intanto trasferirono nella vicina Badia a Ripoli la sede del loro Abate generale mentre un periodo di rigidi inverni rendeva sempre più disagevole il soggiorno a Vallombrosa.

La “Madonna” di Santi di Tito (1590 circa)

Non sappiamo quale sia in ordine di tempo il primo dei capolavori rinascimentali di San Pierino.  E’ databile all’ultimo decennio del Cinquecento  la grande pala da altare di Santi di Tito, attualmente sulla parete di sinistra dell’abside, dove andarono del tutto persi gli affreschi trecenteschi.  Fino all’inizio del secolo era conservata sulla parete di fondo della chiesa. La recente ripulitura ha permesso di leggere chiaramente la firma del pittore, una T e una S intrecciate, su una pietra dell’angolo inferiore sinistro.

 Il dipinto rappresenta la “Madonna in Gloria con il Bambino fra Santi” ed è databile all’ultimo decennio del Cinquecento. La Madonna, seduta su una nuvola, tiene in braccio il Bambino che si protende verso il basso a indicare  San Pietro, titolare della chiesa, e San Sebastiano. Dall’altro lato del dipinto ci sono San Giovanni Battista e San Francesco.

 Nato a Borgo San Sepolcro nel 1536, l’autore di quest’opera fu avviato alla pittura a Firenze e completò per sei anni la sua preparazione negli studi romani. L’evento determinante per l’arte di Santi di Tito fu l’adesione completa al nuovo senso religioso secondo quanto fu raccomandato agli artisti dal Concilio di Trento nel 1563 e dal Sinodo fiorentino nel 1573.

 In Santi di Tito si possono avvertire ricordi michelangioleschi, ora più- evidenti dopo i restauri che hanno restituito alla Cappella Sistina colori e toni meno opachi. 

La “Concezione” dell’Allori (1592)

Guide turistiche di vecchia o recente data indicano fra i capolavori conservati in San Piero in Palco la “Concezione della Vergine” attribuita ad Alessandro Allori. per lunga e mai contestata consuetudine.

A suo tempo la rimozione del quadro riportò in luce una scritta sulla parete col nome del patrono che ordinò il quadro e l’anno nel quale l’opera fu dipinta. Il nome “Galeotto Caponi” ma si deve intendere Capponi, l’anno è il 1592. 

Alessandro Allori nacque a Firenze nel 1535 e morì nel 1607. Fu allievo. dello zio. Agnolo Allori detto ,il Bronzino, ma apprese anche le lezioni di Michelangelo e di Raffaello in un giovanile soggiorno romano. Tornato a Firenze divenne uno dei pittori favoriti alla corte dei Medici. Nella tarda età anche l’Allori abbandonò i temi paganeggiati e si dedicò a un impegno religioso attento e meditato. In San Piero in Palco la pittura è al servizio della Fede. 

La Concezione Immacolata di Maria. non era stato riconosciuta come dogma dalla Chiesa in modo definitivo ma faceva parte della tradizione e della fede popolare. La esclusione della Madonna dagli effetti del Peccato originale è indicata con una invenzione un po’ scenografica ma efficace: la Madonna appare sopra un tronco di colonna che schiaccia una figura simboleggiante il Male. 

 In basso il paesaggio mostra enormi alberi che si sfumano in un cielo di blu intenso. Fa effetto riconoscere una straordinaria somiglianza fra questo querceto e quello che ancora oggi circonda la vicina villa del Bisarno., Ancora più sorprendente è riconoscere il paesaggio fiorentino con un grande masso in primo piano presso la riva dell’Arno.  Il paesaggio merita qualche attenzione perché una “Masso di Camarso” e un “Masso del Moro” erano in quei tempi noti punti di riferimento del paesaggio dell’Arno a monte di Firenze. Oggi ne restano labili memorie.

Il Seicento e lo “Sposalizio della Vergine”

Nel Pian di Ripoli il rinnovamento religioso dette il suo grande capolavoro con le “Nozze di Cana” di Bernardino Barbatelli detto il Poccetti nel refettorio dei monaci vallombrosani di Badia a Ripoli. Il volto del Cristo è uno dei più intensi nella storia della pittura di ogni tempo. Ed eravamo tra il 1603 ed il 1605.

Il rinnovamento traeva origine anche dai lontani insegnamenti di Girolamo Savonarola che nel Pian di Ripoli aveva trovato una seguace e continuatrice in suor Domenica del Paradiso.Su questa tradizione nacquero nuove confraternite come la Compagnia del Santissimo Rosario a Badia a Ripoli e la Compagnia di Sant’Isidoro protettore dei contadini a Santa Brigida. 

Intanto nel Pian di Ripoli cominciarono quei grandi lavori di bonifica che per promozione dei Medici furono compiuti dalla famiglia Castelli. Ne è ricordo la cappella a metà di via Villamagna. La consulenza tecnica fu dei grandi ingegneri del tempo, dal Buontalenti al Viviani. In pochi decenni il Pian di Ripoli tornò ad essere fertile terreno di campi, frutteti, orti. La meravigliosa fioritura primaverile dei ciliegi fece dare al Pian di Ripoli il nome di “Pomario di Firenze

Di questa età resta come ricordo in San Pierino un’opera di  controversa attribuzione, la “Nozze di Maria con Giuseppe”. .Secondo il Torrigiani, che aveva consultato documenti di archivio forse oggi alluvionati, l’opera fu eseguita nel 1647 da Rodolfo Frediani. In un documento del 1711 era invece attribuita a un altro autore, della stessa epoca e scuola, Francesco Curradi..

La tela si distingue per l’evidente realismo dei volti. Francesco Curradi fu il caposcuola di una bottega di successo. Ebbe vita longeva: nacque nel 1571 e morì quasi novantenne. Alla stessa famiglia appartennero Raffaele e Taddeo Curradi..

Il segno degli eventi storici 

L’aspetto attuale di San Pierino è in gran parte l’esito dei grandi lavori di trasformazione eseguiti nel XVIII secolo, il Settecento.

Il fervore religioso popolare trovò un nuovo sostegno nell’opera del francescano San Leonardo da Porto Maurizio che nel 1715 fondò il Convento dell’Incontro sulle rovine di un antico romitorio dei Basiliani e di un castello dei Longobardi.

Nei pressi di San Pierino nel 1717 il senatore Amerigo Antinori acquistò la “Casa bianca”, grande villa all’angolo tra via delle Lame e via del Bisarno. Da allora gli Antinori  rivolsero il loro impegno anche alla cura di San Piero in Palco, mentre i Capponi rimanevano ancora proprietari della villa del Bisarno. ..

La famiglia granducale dei Medici si stava per estinguere e le grandi potenze europee cercavano un accordo per indicare i successori. Forse resta di questo evento un curioso ricordo in San Pierino.

Un soldato disegna un castello (1735)

Durante i lavori di restauro nelle stanze adiacenti alla chiesa è riapparso un curioso disegno su una parete della canonica. In inchiostro nero o a carboncino il disegno raffigura un castello cinquecentesco tracciato dalla mano di persona certo poco esperta ma disinvolta. Si può pensare a un abile dilettante che lasciò sul muro un ricordo della sua presenza.

Ci sono due ipotesi che vengono subito alla mente. La prima è che il disegno sia stato tracciato da uno di quei mercenari che nel 1529 si accamparono in Pian di Ripoli con l’esercito spagnolo.

La seconda, molto più credibile, attribuisce il disegno ancora a un soldato spagnola ma in epoca più recente. Intorno al 1735 presero quartiere, come allora si diceva, in Pian di Ripoli le truppe al seguito del giovanissimo Carlo III di Borbone, proveniente da Parma, che le prime trattative internazionali indicavano come possibile successore dei Medici, con il consenso dello stesso Gian Gastone, ultimo e rassegnato erede della dinastia medicea..  Il giovane Carlo III prese alloggio nel castello del Bisarno, mentre i suoi uomini si accampavano intorno. Si sa che il piccolo esercito mercenario attraversò l’Appennino partendo da Imola, Piancaldoli  e Firenzuola. Proprio in questi paesi qualche soldato può avere veduto un castello del quale poi si divertì a tracciare un’immagine sul muro di San Pierino.

La scoperta ha sollecitato  l’interesse di alcuni studiosi dei castelli dell’Appennino che intendono riconoscere qualche fortezza sia stata raffigurata.

.La vicenda ebbe un esito diverso dal previsto. Con l’accordo firmato in una locanda di  Firenzuola  nel 1735 fu assegnato a Carlo III il regno di Napoli. In seguito Carlo divenne re di Spagna. In Toscana arrivarono i Lorena. Ma prima di partire il giovane Carlo, divenuto re di Napoli, volle lasciare un buon ricordo e pagò tutti i danni che i suoi soldati avevano fatto in Pian di Ripoli.  E’ possibile che anche San Pierino abbia ricevuto un risarcimento. Potrebbe essere questo il motivo degli ingenti lavori compiuti allora in San Pierino.

La “Madonna” di Via delle Lame (1742)

E’ possibile datare al 1742 la prima nuova opera in San Pierino. In quell’anno fu compiuta un’operazione davvero impegnativa per quei tempi. Da un tabernacolo in via delle Lame fu staccata dal muro e portata in San Pierino l’immagine della Madonna che la tradizione attribuiva alla Scuola di Giotto ed era oggetto di grande devozione popolare. L’opera fu collocata nella cappella a destra del transetto. Di recente l’opera è stata sottoposta a radicale restauro in attesa di essere di nuovo collocata in chiesa.

La “Madonna” di F. Gambacciani (1746)

Un nuovo intervento risale al 1746. Fu quello un anno di grandi novità nel Pian di Ripoli: i Vallombrosani resero di nuovo aperta al culto la cripta di Badia a Ripoli da tempo chiusa e impraticabile. 

Al 1746 è datato l’altare di sinistra nel transetto con la tela di Francesco Gambacciani. L’opera è dedicata alla Vergine e ai santi Spiridione vescovo e Francesco Ferreri.

Nella tragica notte dell’attentato in via dei Georgofili nel 1993 il dipinto si trovava in restauro in una delle stanze degli Uffizi più vicine all’esplosione ma per buona sorte non subì danni

Francesco Gambacciani nacque il 5 febbraio 1701. I suoi capolavori sono conservati tutti nella chiesa del Carmine, a Firenze fra loro tanto diverse. Il quadro di San Piero in Palco fu dipinto per la famiglia Altoviti, patrona dell’altare. Gli Altoviti, nobili fiorentini, erano diventati nel 1709 proprietari della cosiddetta Villa Arnina, in via delle Lame, poi chiamata Villa Stupan, già raffigurata da Leonardo nella sua mappa. . E’ la costruzione che ancora oggi si trova fra via delle Lame e via Unione Sovietica, nel cosiddetto borghetto del Limbo. 

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I grandi lavori del 1771

In San Pierino altri grandi lavori furono eseguiti tra il 1771 e il 1772. Purtroppo la perdita di tanti documenti a causa della alluvione rende difficile confermare quello che a suo tempo fu riferito da Luigi Torrigiani nella sua “Storia del Pian di Ripoli”. In assenza di altre datazioni risale a quegli anni l’apertura del finestrone nella facciata 

Nessuno sapeva che sotto l’intonaco si celava ancora il grande “Giudizio universale” trecentesco. Andò perduta per sempre la parte centrale del dipinto con la figura del Cristo giudicante.

Si può datare agli stessi anni la costruzione della falsa cupoletta interna, con una tecnica allora frequente. 

Le recenti scoperte nella cupola

Gli ultimi restauri promossi dalla Comunità parrocchiale di Badia a Ripoli, realizzati mediante il sostanziale contributo della Fondazione dell’Ente Cassa di Risparmio di Firenze, hanno fatto recuperare la sorprendente decorazione settecentesca della cupoletta. . La direzione è stata della dottoressa Maria Matilde Sìmari, della Soprintendenza ai Monumenti. Il restauro delle parti pittoriche è stato affidato ad “Artemisia restauri”, di Laura Lanciotti e a Barbara Geroni. Per la parte architettonica i lavori hanno avuto  la direzione dell’architetto Giuseppe Bracchetti.

Questa è pittura a calce, una forma di affresco più svelta di quella classica ma anche meno resistente alle usure del tempo. Intorno alla cupola sono disegnati elementi di architettura e decorazioni in tecnica monocroma, con un solo colore dominante, ma decorata in oro. Lo scenario si conclude alla sommità della cupola in un’area in alto e al centro sempre più chiara che nel suo luminoso mistero simboleggia il Cielo dove è assunta Maria. 

La data del dipinto, tra il 1771 e il 1772 fu indicata da Luigi Torrigiani nella sua monumentale opera “Il Comune di Bagno a Ripoli. Le notizie sono state confermate (e corrette) da una giovane ricercatrice che durante la compilazione della tesi di laurea ha ritrovato le memorie del parroco del tempo (alluvionate).

Lo stesso Torrigiani indicò come autore delle pitture architettoniche il pittore Gaetano “Mazzoni”. Il vero nome era Gaetano Masoni. Nato a Settignano, era noto soprattutto come scultore per avere eseguito bassorilievi nel Duomo di Pistoia 

 Il “Lensi” non meglio indicato dal Torrigiani è da ritenere, in mancanza di altre ipotesi,  Cipriano Lensi che nel 1781 lavorò negli affreschi della chiesa del Carmine, poco tempo prima devastata da un incendio

Dai Lorena a Firenze capitale

Gli impegni di riforma politica, sociale, anche agraria del granducato dei Lorena furono presto fatti propri dai Vallombrosani che in questo avevano una tradizione risalente al loro stesso fondatore.  Furono costruiti alla fine del XVIII secolo i muri che danno ordine alla campagna e dividono nettamente strade e campi, allora misura di sicurezza per i viandanti.

.Nelì’età di Napoleone per pochi anni divenne “Re di Etruria”, di nome ma non di fatto, un giovanissimo discendente di quel re Carlo che un giorno aveva soggiornato a San Pierino in Palco. 

I Beccari (1838) e gli Antinori

Nel 1838 il Castello del Bisarno fu ceduto daiCapponi a nuovi proprietari, i Beccari. A questa famiglia appartenne il celebre esploratore professor Odoardo Beccari che piantò nel parco piante rare e magnifici esemplari di alberi nostrani.Attualmente la villa è in restauro. 

Nella cappella di destra del transetto  a destra di chi entra sono raccolte le lapidi della nobile famiglia Antinori. Diventati proprietari della vicina Casa Bianca. Erano fedelissimi amministratori privati dagli ultimi granduchi di Toscana.anche dopo l’unità d’Italia. Gli Antinori concessero ai cittadini di Firenze il terreno dell’Albereta, usato per l’acquedotto ma con l’esplicito desiderio che fosse dedicato anche a parco pubblico..

Firenze capitale d’Italia (1865 – 1870

Nell’Ottocento furono eseguite nuove opere d’arte. Può davvero sorprendere il fatto che in un anno non ben determinato sia stato di nuovo dipinto anche il soffitto della falsa cupoletta con un’opera di buon lavoro. L’opera è stata ripulita e documentata nei recenti restauri che hanno rimesso in luce la sottostante decorazione settecentesca.

  Si possono ricercare nel secolo XIX eventi che abbiano indotto i parrocchiani a organizzare questi lavori, abbastanza costosi. Nuovi lavori furono promossi in tutta Firenze divenuta capitale d’Italia.(1865 – 1870)  Allora il professor Beccari accolse nel suo castello l’ambasciatore inglese in soggiorno di campagna.

Il terremoto del 1895

In età ancora a noi più vicina, da indicare nel Novecento, fu dipinta ancora un’ultima e terza decorazione sulla volta. Con il volto di San Pietro. Anche questa è stata documentata prima di essere rimossa. Ci si può di nuovo domandare perché nel breve volgere dei decenni si sia provveduto a dipingere più volte la cupoletta. Uno dei motivi può essere stato il disastroso terremoto del 18 maggio 1895, dell’VIII. grado Mercalli. Che devastò il Pian di Ripoli e la Val d’Ema… Si può immaginare che anche San Pierino abbia avuto bisogno di restauri. Di autore sconosciuto ma artista di particolare sensibilità e tecnica è la mirabile e commovente “Pietà” dipinta sotto la mensa dell’altare.  Il raffronto con opere simili in Pian di Ripoli potrebbe offrire facili indizi.

Le nuove chiese

 San Pierino fu per secoli una piccola parrocchia ma in tempi più recenti la chiesetta è stata affidata alla comunità di Badia a Ripoli dopo l’istituzione intorno al 1938 della nuova parrocchia (con sede provvisoria)che riprese proprio il nome di San Pietro in Palco.,

Nel 1944 nel territorio di San Pierino trovarono alloggio gli sfollati dalle case colpite nei bombardamenti di Firenze. 

Nuove chiese

Seguì la costruzione di nuove chiese a partire dalla nuova parrocchiale di San Piero in Palco (arch. Primo Saccardi) in piazza Cardinale Elia Dalla Costa (1958), seguita dalla chiesa in legno della Nave a Rovezzano (arch. Lorenzo Papi), dedicata alla Resurrezione.

 L’alluvione del 1966 sfiorò San Pierino. Dalla strada partivano i mezzi di soccorso per i territori inondati

 Nel 1969 fu costruita la nuova parrocchiale del Corpus Domini (arch. Alessandro Guerrera e Roberto Nardi). Nel 1994 fu posta la prima pietra della Cappella dell’Immacolata Concezione nella sede della Misericordia (arch. Giovanni Michelucci e Bruno Alberto Sacchi).Nel 2004 è inaugurata la cappella della Casa di Riposo”Piccola Betania” su disegno dell’architetto Giuseppe Bracchetti.

Piccola Betania

Betania era il luogo dove vivevano  Maria, Marta, Lazzaro, gli amici di Gesù. Era a tre miglia da Gerusalemme, proprio come san Piero in Palco da Firenze. Era consuetudine, ai tempi dei Romani, che i viandanti che arrivavano in città prendessero riposo prima di oltrepassare le mura. Così anche il Pian di Ripoli ebbe da tempo immemorabile la vocazione all’accoglienza e all’ospitalità.

  Quando furono avviati i lavori di recupero degli affreschi e delle tele la comunità parrocchiale di Badia a Ripoli si pose l’obbligo di dare alla vecchia canonica un utile impiego.  Come risposta concreta ad esigenze assillanti fu aperta una casa di accoglienza per bambini e madri che ebbe il nome di “Piccola Betania”, in ricordo del luogo dove Gesù era ospitato quando andava a Gerusalemme..

Da qualche anno ha preso il nome di “Piccola Betania” anche la moderna casa di riposo per anziani che la comunità parrocchiale ha costruito vicino a “San Pierino”.

Di recente gli antichi locali annessi alla chiesetta sono tornati disponibili per nuovi impegni e questa volta la comunità li h destinati alla Casa di preghiera, dedicata particolarmente alla devozione a Gesù nel Santissimo Sacramento

La presente sintetica guida vuole solo indicare quali siano le opere d’arte di maggior interesse in San Pierino in una rapida visita. Per notizie su queste opere si rinvia alla precedente parte storica generale dove sarà facile ritrovare le informazioni.

Appena entrati si osservi sulla controfacciata quanto resta del”Giudizio universale” del Trecento.

Nelle due pareti laterali si osservano ancora i resti di altri affreschi del Trecento della scuola dei Gaddi- A sinistra campeggia la grande figura di San Biagio 

Più oltre si trovano i grandi altari laterali. A destra sopra l’altare si trova l’”Immacolata Concezione” dell’Allori. A sinistra si vede lo “Sposalizio della Vergine” attribuito alla scuola dei Curradi.

Nella cappella di sinistra del transetto si trova la “Madonna con Santi” di Francesco Gambacciani. La cappella di destra è in attesa di definitiva sistemazione.

Nella cupoletta sopra il centro del transetto si vedono le decorazioni del Settecento.

Nell’abside si osservano resti di dipinti del Trecento e a destra la “Madonna con Santi “ di Santi di Tito.

Nei locali adiacenti è conservata la “sinopia” di una “Misericordia”-

La millenaria chiesa di San Piero in Palco , in via di Badia a Ripoli, è una delle più  antiche  della periferia fiorentina, oggetto di importanti restauri e di studi tuttora in corso  da parte dei massimi ricercatori di storia fiorentina

Da quando è stata istituita la nuova parrocchia di San Piero in Palco, in piazza Elia dalla Costa, l’antica chiesetta nascosta fra gli alberi e gli ultimi orti, accanto al castello del Bisarno, ha preso popolarmente il nome di San Pierino  che la distingue anche dalla vicina pieve di San Pietro a Ripoli.

Memorie paleocristiane

In epoca etrusca e poi in quella romana un itinerario attraversava con un guado l’Arno tra le colline del Chianti e la città di Fiesole nei pressi dell’odierno San Pierino in Palco. La  tradizione diceva che poco lontano il fiume era attraversato anche da un ponte. Ne sono stati indicati i resti in alcune pigne di pietra scoperte nel fondo dell’Areno, al Girone. La pianura era stata resa fertile dal lavoro dei coloni. Lontano, a valle, si vedevano le mura di “Florentia” rosse di mattoni mentre in alto, davanti, splendevano i marmi di “Faesule”.

Sull’arrivo del Cristianesimo in Pian di Ripoli si possono fare soltanto illazioni, connesse alla diffusione della nuova religione nella stessa Florentia. Un momento favorevole appare il tempo dell’imperatore Adriano che fece costruire il nuovo tratto della via Cassia che passava ai limiti del Pian di Ripoli. La costruzione della Pieve a Ripoli appare remotissima, come si ritiene per quasi tutte le chiese dedicate all’apostolo Pietro. La Pieve a Ripoli si trova a circa un chilometro dalla chiesetta di San Pierino.

I Longobardi nel Pian di Ripoli (sec. VIII)

Nel VI secolo dopo Cristo una grande alluvione devastò la pianura. Negli anni successivi arrivarono in Toscana i nuovi signori del territorio, di stirpe longobarda. E’ noto che i Longobardi alla fine del VI secolo presero il dominio della Toscana mentre l’autorità dell’Impero romano di Oriente si  ritirava oltre gli Appennini, a Ravenna e negli altri territori adriatici. 

In Toscana i signori Longobardi preferirono stabilire i loro luoghi di residenza lontano dalle città, secondo i loro costumi.

 Molti segni e nomi restano a ricordare la presenza  dei Longobardi in Pian di Ripoli, Val d’Ema e nel vicino Chianti

Il nome Palco, di origine longobarda, indicava un piccolo rialzo sul terreno sul quale fu costruito il primo nucleo del Castello del Bisarno, la villa prossima a San Pierino. I manuali di storia della lingua italiana citano il nome Palco fra quelli tipici dei Longobardi insieme a Varlungo e Guarlone (nel senso di lungo guado e grande guado. 

Ci fu da prima un periodo oscuro di contrasti tra le antiche famiglie latifondiste latine e i nuovi dominatori longobardi.

L’opera bonificatrice dei Monaci Basiliani

Gli studi recenti hanno riconosciuto ai Longobardi il merito di avere promosso la bonifica del terreno, per molti indizi grazie alla  tecnologia di monaci Basiliani giunti dall’Oriente

Indizi della presenza dei seguaci di San Basilio in Pian di Ripoli sono offerti dal fatto che molti santi titolari di antiche chiese avevano culto nei paesi orientali che i monaci abbandonavano davanti all’espansione araba.. Basta ricordare l’oratorio di San Macario in cima al colle dell’Incontro, ma anche San Bartolomeo, Sant’Andrea, San Giorgio. La regola di San Basilio ha ispirato in tempi recentissimi la comunità di Bose, con la pratica della vita ritirata ma in comune e con una attenzione non solo alla preghiera ma anche alla vita attiva, come avvenne pure per i Benedettini. Anche parole di possibile origine greca, come “Anconella” fanno ritenere che i Basiliani siano stati i primi bonificatori del Pian di Ripoli, dopo le alluvioni dell’alto medioevo. Il nome Ripoli tramanda il ricordo delle rive innalzate dai monaci a difesa del terreno.

Tra le innovazioni tecniche diffuse dai Basiliani ci furono i metati dove si produceva la farina di castagne, la diffusione delle vigne miste con viti e pioppi e la diffusione dei mulini a ritrecine che permettevano di usare la scarsa acqua dei torrenti toscani per macinare il grano. Nel mondo antico le macine erano mosse dalla forza degli uomini o da quella delle bestie da soma. Con il ritrecine anche i piccoli torrenti potevano dare forza per trasformare il grano in farina.

La fondazione di San Pierino in Palco

Si può fare l’ipotesi che gli abitanti longobardi del castello del Bisarno abbiano costruito il primo nucleo di San Pierino. che riprese il nome della vicina Pieve di San Pietro. E’ stato osservato che nei dintorni di Firenze è frequente il caso di “chiese geminate”, dedicate a uno identico santo titolare, curiosamente tra loro molto vicine. Si pensi anche al caso di Sant’Andrea a Rovezzano e Sant’Andrea a Candeli.. In questi casi si ritiene che una frequentata dalla popolazione latina chiesa e vi sia stato praticato il rito latino e mentre l’altra sia stata frequentata dalla popolazione longobarda o di origine germanica, da poco stanziata sul territorio, che continuava a parlare nella propria lingua.  In qualche caso è stato supposto che nella chiesa longobarda sia stato praticato il cosiddetto culto ariano, prima della unificazione delle due comunità nel culto latino.

Ma in questo caso di San Piero in Palco abbiamo ai giorni nostri lo straordinario evento di ben tre chiese vicine l’una all’altra dedicate a San Pietro, primo papa. Perché circa settanta anni fa venne fondata nel Pian di Ripoli una nuova parrocchia che ebbe a sua volta il titolo di San Pietro in Palco. Allora non si pensò alla possibilità di equivoci perché la piccola e antica San Pierino non era più sede di parrocchia da qualche tempo ed era ormai officiata dal parroco di Badia a Ripoli. 

La fondazione di Badia a Ripoli (718 circa)

Nella stessa lontana epoca nella quale si costruiva la primitiva chiesetta di San Piero in Palco venne fondato nelle vicinanze anche un monastero: era la Badia a Ripoli. .

 Sulla fondazione della Badia a Ripoli e sui fondatori sono stati pubblicati nuovi studi nel corso dell’anno 2003. Autore della ricerca è Bernardo Zanchini, discendente degli antichi fondatori della Badia a Ripoli.

Alla fine del secolo VII il regno longobardo in Italia si era frantumato in una anarchia di piccoli duchi locali mentre continuavano le feroci contese per il possesso del titolo di re, a Pavia. Secondo racconti storici nel 711 il re Ansprad, esautorato, mosse alla riconquista del regno con l’aiuto di Adonald, un duca dei Bavari, già imparentato e alleato dei Franchi. Abile condottiero, saggio politico, benvoluto dalle stesse popolazioni sottomesse, Adonald ebbe il titolo di “Dux Liguriae” con un potere che si estendeva a gran parte della Toscana..

Secondo i recenti studi il duca Adonald intorno al 718 (data indicata da Scipione Ammirato) fondò la Badia a Ripoli, la dedicò a San Bartolomeo, un santo molto onorato dai Longobardi in Toscana, e nominò  la giovane nipote Eufrasia prima badessa del monastero secondo la Regola di San Benedetto.

 Qualche decennio dopo, nel 790, i fratelli Atroald, Adopald e Adonald (già terzo nella famiglia in ordine dinastico con questo nome) discendenti del duca Adonald confermarono la concessione di possessi e beni al monastero con una “Carta di offersione” che è uno dei più antichi documenti conservati all’Archivio di Stato di Firenze.. Il luogo del monastero è chiamato “Recavata”, col significato di terreno di recente bonificato. I recenti studi hanno dissipato gran parte dei dubbi che erano proposti dagli storici su questo famoso e citatissimo documento.

Nella carta è ricordata una pieve al quarto miglio da Firenze che sembra corrispondere all’attuale Pieve a Ripoli. 

Santa Brigida d’Irlanda e San Donato

Il guado dell’Arno divenne qualche decennio dopo la fondazione di Badia a Ripoli un punto di passaggio della nuova via di pellegrinaggio che dall’Europa del Nord e dalla Gallia raggiungeva Fiesole e attraverso il Chianti si dirigeva  verso Roma. Questa via fu  percorsa da San Donato, Sant’Andrea e Santa Brigida, i tre irlandesi che diffusero anche in Toscana il culto per San Martino, il generoso e severo vescovo di Tours.

I discendenti di Adonald in Pian di Ripoli

Gli studi hanno permesso di ricostruire la connessione dinastica tra le famiglie che nel medio evo dominarono il Pian di Ripoli, il Chianti e il Mugello

Dal primo duca Adonald ebbero origine varie famiglie. Alcuni discendenti lasciarono il loro nome a luoghi prossimi al Pian di Ripoli. Ad esempio si cita Monteripaldi, o Monte di Atripaldo. L’origine bavara di Adonald, già alleato dei Franchi, favorì la sopravvivenza della famiglia quando il franco Carlo Magno divenne primo sacro romano imperatore.

Il ramo che fu detto degli Ubaldini ebbe il feudo del Mugello, un altro ramo ebbe i feudi di Quona, presso Pontassieve, di Rèmole , Pelago e Rignano.

Da altri rami ebbero origine i Visdomini dai quali trasse origine San Giovanni Gualberto, fondatore dei Vallombrosani

E’ certo che i Visdomini avevano connessione familiare o alleanza con un’altra grande famiglia, quella degli Uberti 

I monaci di Vallombrosa  con la regola di san Benedetto seppero anche diffondere quell’attiva partecipazione alla vita civile e tecnica che aveva distinto tanti anni prima l’azione dei Monaci Basiliani.. Se oggi le colline di Firenze sono così belle un ringraziamento vada ai Vallombrosani.

Le isole del Bisarno

Allora l’Arno limpidissimo nella pianura di Ripoli, a pochi passi da Candeli, si divideva in due rami. Uno si stendeva in lenti meandri nella piana di Rovezzano e l’altro si dirigeva verso le colline di Sorgane. I due rami formavano una prima isola subito a valle dell’odierno Bagno a Ripoli, nome che ricordava un antico bagno pubblico di età imperiale romana.

 Poi i rami dell’Arno si tornavano a unire o all’altezza di San Pierino in Palco dove si congiungevano i depositi fluviali della Mensola e del fosso che scendeva da Sorgane e da Diacceto. Qua il terreno era favorevole alla formazione del guado .Il castello del Bisarno e la chiesetta di San Pierino erano luoghi di sosta lungo questo itinerario

A valle i rami del fiume si tornavano a dividere. Un letto del fiume divagava nella pianura di San Salvi tanto che la strada più frequentata passava per Ponte a Mensola e pochi frequentavano la via di Mezzo o via Mezzetta tra le paludi. L’altro ramo che prese il nome di Bisarno o “secondo Arno” percorreva la direttrice dell’odierna via di Ripoli. L’isola era coperta di paludi o lame di acqua che dettero origine al nome di via delle Lame.

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L’atto di donazione del 1003

Nell’anno 1003 la nobildonna Adelaisa degli Uberti sottoscrisse un solenne atto di donazione e lo datò “in populo S. Petri loco Bisarno” nell’anno 1003.

 Per gli studiosi di storia fiorentina questo è il primo documento nel quale è citata la chiesetta di San Pierino, già allora sede di un “populo”, ovvero parrocchia.  Si nota pure che il nome Bisarno, indicava non soltanto il ramo secondario del fiume ma anche lo stesso luogo tanto che per molti secoli indicò un’isola formata dall’Arno tra il Pian di Ripoli e Ricorboli. 

I terreni erano posseduti da una potente famiglia alla quale appartenne Bernardo degli Uberti che alla fine di quello stesso secolo si fece seguace di San Giovanni Gualberto e divenne uno dei grandi santi della Congregazione di Vallombrosa. Proprio in questi ultimo periodo i monasteri di San Salvi e poi quello di Badia a Ripoli divennero sedi dei monaci vallombrosani che controllavano il guado dell’Arno.

La grande piena del 1177

L’intera Toscana e in modo certamente devastante furono colpite nel 1177 da un vero e proprio cataclisma. Una grande piena fece alzare le acque dell’Arno e della Sieve. Tutti i ponti sul fiume furono allora travolti. In qualche parte il terreno i fiumi mutarono addirittura il percorso.

Negli stessi anni un evento storico determinò l’inizio di un nuovo fervido periodo di lavori anche nel Pian di Ripoli. Dopo la ben nota Battaglia di Legnano l’imperatore Federico Barbarossa venne a patti con i Comuni italiani che ebbero da allora il potere e la gestione dei fiumi, fino ad allora di competenza imperiale.

Da questo momento in poi si nota la costruzione e la diffusione sull’Arno di nuovi mulini per il grano e di gualchiere che usavano la forza dell’acqua per la lavorazione della lana..

 Le pergamene dei Vallombrosani conservano, questo è certo, memoria di numerosi contratti con i quali i monaci vallombrosani concedevano i terreni prossimi alla Badia  agli agricoltori per le bonifiche e ai mugnai per impiantare mulini. Le favorevoli condizioni climatiche del XIII secolo avevano favorito, come sanno gli storici, un notevole aumento della popolazione in Toscana.

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Il popolo di San Pierino e Montaperti – 1260

All’inizio del XIII secolo la chiesetta di San Pierino era passata sotto il patronato dei Ferrucci, grande famiglia di commercianti di metalli.Nel 1215 ne era patrono Lottieri di Aldobrandino Ferrucci.

 Era un segno del mutare dei tempi. I Ferrucci si vantavano di appartenere alle antiche famiglie latine od etrusche che avevano fondato Florentia. In tempi successivi il patronato o gestione della chiesa fu assunto dagli stessi parrocchiani.. Le campagne del Bisarno erano fertili e gli agricoltori ricavano grano e foraggio.dai terreni concessi da Monaci vallombrosani di Badia a Ripoli e di San Salvi.

 Nel 1260 il popolo di San Piero in Palco offrì vettovaglie all’esercito guelfo fiorentino ma la vittoria dei Senesi a Montaperti provocò il violento ritorno a Firenze dei nobili ghibellini. Il castello del Bisarno, accanto a San Pierino, fu incendiato.

Qualche anno dopo i Guelfi ripresero il dominio della città e da allora i nobili ghibellini furono costretti all’esilio o a farsi cittadini. 

Si sa che negli ultimi anni di quel secolo il castello era di proprietà dei Bardi, potentissima famiglia guelfa che pure vantava origini latine.  

 Il pontefice al guado dell’Arno (1275)

Pochi anni dopo i guelfi ripresero il potere ed il papa Gregorio X tentò invano di far concludere una stabile pace tra gli opposti partiti fiorentini. Nel 1275 di ritorno dal concilio di Lione il papa Gregorio X trovò Firenze ancora dilaniata da lotte fratricide. Per non entrare nella città il vecchio papa malato arrivò al guado di Varlungo per raggiungere San Pierino e Badia a Ripoli ma il fiume era in piena 

. Il vecchio papa con il suo corteo di cardinali arrivò da San Salvi. E’ possibile che il popolo sia stato avvisato e lo abbia atteso sulla riva. Ma le acque limacciose aumentavano. A Firenze comandavano i Guelfi oltranzisti che si vantavano di essere sostenitori del potere assoluto del papato su quello dell’impero.  

Ma questi guelfi oltranzisti si opponevano alla politica di pace di Gregorio X . Era questo il papa che aveva mandato Marco Polo in oriente per stabilire rapporti pacifici on la Cina e aveva raggiunto anche un accordo con la chiesa cristiana di Bisanzio. Il papa attraversò il nuovo Ponte alle mentre il popolo piangeva silenziosamente. Poi trascorse il Natale a Badia Ripoli dove possiamo immaginare che abbia ricevuto l’omaggio del popolo di san Pierino. Il papa morì in gennaio nei pressi di Arezzo.

Il recupero di un patrimonio d’arte

Tra il XIII secolo e la fine del successivo la chiesetta di San Pierino presentava i tipici caratteri delle piccole chiese romaniche della campagna fiorentina con una presumibile copertura in travi di legno

Ma se era umile e semplice all’esterno la chiesetta di San Piero in Palco si è rivelata la sede di stupendi affreschi databili tra la fine del XIII secolo e la fine di quello successivo.

Il recupero di questi affreschi, avvenuto a partire dal 1970 grazie a restauratori che sono ritenuti fra i più esperti in Italia e nel mondo è stato un’opera di eccezionale valore per la storia dell’arte. E’ stato recuperato un patrimonio artistico e culturale del quale erano rimasti in gran parte solo pochi ricordi.  Lo studio di queste opere permette perfino di recuperare taluni passaggi nella storia dell’arte che erano come anelli mancanti in una catena di eventi successivi.  Con gli organi statali a questo scopo preposti la comunità parrocchiale di Badia a Ripoli ha dato un contributo fattivo e prezioso, sia di impulso, sia di ricerca di risorse con la collaborazione di enti, associazioni e studiosi.

Giotto tra storia, tradizione  e fantasia 

L’ipotesi della presenza di  Giotto in San Pierino, almeno come consulente degli artisti oppure come visitatore,  può essere l’esito della nostra fantasia, appena vista la vicinanza del castello del Bisarno appartenente ai Bardi che di Giotto erano amici. 

Ma ci sono altre memorie della presenza del maestro in questo territorio a levante di Firenze. Basta citare la “Madonna delle rose” di scuola giottesca di Santa Maria a Ricorboli. che è stata oggetto di recente di grandi studi. La fantasia popolare ha attribuito alla scuola di Giotto anche l’umile Madonna dipinta in un tabernacolo campestre di via delle Lame, che per molti decenni è stata conservata proprio in San Pierino in Palco.

 .Eventi che possiamo immaginare (guerre ed alluvioni) indussero chi aveva il patronato della chiesa a nascondere i vecchi dipinti sotto un nuovo intonaco e purtroppo perché questo meglio aderisse alle pareti i vecchi colori furono spesso picchettati.

Si finì per ignorare del tutto quali meraviglie fossero celate sotto il nuovo intonaco. .All’inizio del secolo scorso cominciò il recupero e la riscoperta,..

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Il mistero della “Misericordia”

.Il caso più misterioso è quello dei resti di una tempera rimasta allo stato di “sinopia” o traccia per un affresco che sembra non sia stato mai portato a tempera. Il frammentario è custodito in sacrestia.perché al suo posto sulla parete di sinistra della navata c’è oggi uno degli affreschi dipinti in tempi successivi. Il dipinto doveva rappresentare una “Misericordia”, un’immagine della Vergine che stende il manto protettivo sopra i suoi fedeli.  Sono stati recuperati i contorni della parte destra del manto, parte del contorno del volto e le tracce di un gruppo di mercanti fiorentini.

 Questo tema sacro, la Madonna protettrice, era ispirato alla famosa immagine della Vergine che in quei tempi si onorava a Bisanzio, ancora capitale dell’Impero romano di Oriente e sede di agenzie commerciali fiorentine.  E’ possibile che i Ferrucci antichi patroni della chiesa o i Bardi proprietari del vicino castello abbiano voluto ripetere questa immagine che è stata ritrovata sotto due successivi strati di affreschi.. Oppure sotto i ricchi costumi dei fedeli c’erano i popolani del Bisarno? 

Non risulta che siano stati compiuti studi critici da esperti su questo esiguo resto di affresco o di tempera ma la “Misericordia” di San Pierino è stata già indicata da Umberto Baldini come uno dei più antichi  resti della innovatrice pittura fiorentina tra il XIII e il XIV secolo, nel passaggio tra Cimabue e Giotto

Certo è che sta già avvenendo in questo dipinto il passaggio tra l’antica pittura che allora veniva detta “greca” e quella successiva che gli esperti chiamano “gotica” ed è la grande arte giottesca. Si passa a una pittura che dipinge anche la vita e i suoi personaggi quotidiani. Restano un mistero l’autore del dipinto di San Pierino e anche il motivo che impedì al pittore di portare a termine l’opera che fu presto nascosta con un altro affresco.

Non azzardiamo oltre nelle ipotesi ma la fantasia può proporre a questo punto le più avventurose e avvincenti ipotesi..

Il gruppo dei mercanti ha evidenti somiglianze con una tavola conservata nel Museo dell’Accademia a Firenze e soprattutto con i mercanti degli affreschi giotteschi di Assisi.  Ricordiamo che Giotto al tempo degli affreschi di Assisi aveva circa trent’anni ed erano gli anni tra il 1297 e il 1299.  Tralasciamo qua le ben note osservazioni sull’attribuzione dei dipinti di Assisi a Giotto. Ma proprio lo studio delle pitture fiorentine potrebbe contribuire a dare nuove certezze alle ricerche su quelle di Assisi.

Il tema della “Misericordia” fu poi ripreso in un affresco dei Servi di Maria, alla Santissima Annunziata, e nel celebre dipinto conservato nel Museo del Bigallo. Nello stesso tempo ebbe diffusione a Macerata e nelle Marche. 

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L’”Angelo crucifero”

Di poco successivi alla “Misericordia” o a questa contemporanei sono stati indicati i resti dei dipinti nelle pareti laterali del coro, o presbiterio, o abside del tipo a  “scarsella” che ha forma rettangolare, come quella del Battistero di Firenze. La forma rettangolare era meno diffusa rispetto a quella circolare ma si ha altri esempi in Val d’Ema..

 Il tema di questi affreschi era la vita di San Francesco, fatto sorprendente in una chiesa dedicata a San Pietro. Non va tuttavia dimenticato che i primi seguaci di San Francesco erano passati nel Pian di Ripoli meno di un secolo prima, nel viaggio da Assisi a Firenze..

Il frammento più significativo è l’Angelo che assume l’aspetto della figura di Cristo e volando imprime le stigmate a San Francesco. Si era da poco superato il periodo della statica pittura di ispirazione bizantina o greca e l’autore ebbe l’ardimento tecnico di dipingere un corpo con le braccia distese che ricordano la Croce ma sembrano anche ali. Solo un grandissimo artista poteva tentare qualcosa di simile, allora.

Senza voler qua precedere le conclusioni degli esperti  si può ricordare quali siano i più noti o meno noti esempi di “Angelo o Cristo Crucifero” allora dipinti.

Un ben noto esempio di “Angelo Crucifero”è nella Basilica di Assisi.. E’ uno degli episodi delle “storie francescane” commissionate a Giotto  da fra Giovanni de Muro, ministro generale dei francescani, datato agli anni precedenti il 1300..  Si discute ancora sulla effettiva partecipazione di Giotto all’affresco ma si ammette che il maestro abbia almeno dipinto gran parte dell’opera prima di una sua partenza per Roma.

Il tema si presenta anche in una tavola che oggi si trova al Louvre ma fu dipinta intorno al 1300 per la chiesa di San Francesco a Pisa. La tavola porta la firma  “Opus Jocti florentini”.  Si discute se tutto il lavoro sia davvero di Giotto o se sia attribuibile alla bottega.  La datazione è indicabile intorno al 1300, quando Giotto aveva poco più di trent’anni.

Recentissime scoperte hanno fatto ritrovare lo stesso soggetto in alcuni affreschi nella Basilica del Santo a Padova. Questi dipinti sono oggetto di attenti studi. Anche in questo caso c’è una lunga disputa sull’attribuzione dell’opera che vecchie testimonianze già attribuivano a Giotto quando lavorò nella cappella degli Scrovegni, tra il 1302 e il 1305, o un decennio dopo in un successivo soggiorno a Padova..

Infine Giotto  dipinse il soggetto dell’Angelo che in forma di Cristo imprime le stigmate anche nel ciclo di affreschi dipinti per la Cappella Bardi in Santa Croce, a Firenze.

Il tema degli Angeli in volo e dell’”Angelo Crucifero” fu dipinto anche da Taddeo Gaddi, il più autorevole maestro della scuola di Giotto.

Una tavoletta con l’”Angelo Crucifero” è conservata nel Museo dell’Accademia di Firenze. L’insieme delle tavole era stato dipinto per l’allora nuovo convento francescano di Santa Croce, a Firenze. E’ ignota la datazione, proposta intorno al 1320. Per qualche secolo le opere furono dubbiosamente attribuite a Giotto ma poi sono state ritenute opere giovanili di  Taddeo Gaddi che tornò a dipingere il tema anche in tarda età nel grandioso affresco nel refettorio di Santa Croce, ancora a Firenze.

Austerità di Badia a Ripoli

Ci si può domandare perché San Pierino e anche la Pieve di San Pietro a Ripoli siano stati così decorate mentre nessun affresco sia stato mai ritrovato nella Badia a Ripoli. oppure oltre l’Arno nella Badia di San Salvi. La risposta è facile per chi conosce la storia dei Vallombrosani: agli inizi le loro chiese dovevano essere povere di dipinti e non dovevano avere neppure l’intonaco, secondo la rigorosa tradizione voluta dallo stesso fondatore

L’’esercito di Arrigo VII (1312) 

La mancata conclusione del dipinto della “Misericordia” e la perdita o almeno i danni alle opere immediatamente successive possono essere stati provocati da qualche drammatico evento.

 Ecco che cosa accadde in quei tempi nel Pian di Ripoli. Dopo alcuni decenni di quiete e anche di clima favorevole il Pian di Ripoli fu devastato nel 1312 dal  passaggio dell’esercito imperiale di Arrigo VII.. 

L’imperatore Arrigo VII. aveva dato motivi di speranza a Dante in esilio che si attendeva di tornare in Firenze al seguito dell’imperatore. La gente atterrita fuggì lasciando per terra le preziose stoviglie, i tesori di casa, che i cavalieri calpestarono: il quadretto fu dipinto in una miniatura da un  artista al seguito imperiale. Ma il comune fiorentino era ormai troppo potente e Arrigo VII si ritirò nella Val di Pesa a Passignano

Castruccio degli Antelminelli (1325)

E’ possibile che devastazioni peggiori siano avvenute negli anni successivi, intorno al 1325 quando Castruccio Castracani degli Antelminelli sconfisse i Fiorentini ad Altopascio e pose il campo nella pianura di Signa e lasciò libere le bande di fare scorrerie anche in Pian di Ripoli.. Per sfuggire ai saccheggiatori molti abitanti del Pian di Ripoli si gettarono mell’Arno e annegarono. 

La piena del 1333  e i suoi effetti 

Nel 1333 una storica piena sommerse il Pian di Ripoli e il Bisarno alla quale seguì nel 1348 la peste. Si può datare ancora a questi anni drammatici anche una nuova devastazione di San Pierino. E’ certo che la piana sommerse la fertile isola del Bisarno che rimase da allora un renaio incolto almeno per due secoli. Pochi anni dopo il Pian di Ripoli fu sommerso da una nuova piena quando franò una parte del Monte Falterona e i detriti arrivarono fino a Firenze.. Il paesaggio a valle di San Pierino divenne quello solitario e inabitato che appare nella “Carta della Catena”. 

Ma nella storia del Pian di Ripoli e in quella di Firenze la piena del 1333 anche ebbe indiretti effetti nella vita sociale e politica..  L’impeto delle acque distrusse tutti i mulini per il grano e le gualchiere per la lavorazione della lana che si trovavano lungo il fiume, compresi quelli del Girone, di Quintole e di Remole, prossimi al Pian di Ripoli. Per la ripresa della vita economica cittadina il Comune concesse alla famiglia degli Albizi la ricostruzione e la gestione degli impianti. Con una avventurosa manovra finanziaria gli Albizi si procurarono il finanziamento con un prestito concesso dall’Arte della Lana. Ma con la gestione dei mulini gli Albizi e le grandi famiglie a loro vicine, come gli Alberti e i Bardi, cominciarono a prendere il governo del comune, salvo le brevi parentesi del Duca di Atene e del Tumulto dei Ciompi. 

Eredità di tecnica e di arte

Ecerto che in Pian di Ripoli si tramandava il ricordo che in San Piero in Palco avevano lavorato Taddeo Gaddi e del figlio Agnolo, allievi e continuatori di Giotto.

.Non si può indicare una data certa che faccia da frontiera fra opere che si possano ancora definire di scuola giottesca ed altre della scuola di Taddeo Gaddi.  L’opera del discepolo comincia ad acquistare autonomia a partire dal 1320 circa

. La morte di Giotto, nel 1337, è una data che pone un termine di riferimento certo anche per qualsiasi ipotesi sugli autori dei dipinti in San Pierino.  Dopo la morte del sommo maestro l’ormai esperto Taddeo ne ereditò la bottega mentre già lavorava col figlio Agnolo e altri pittori ..

Negli affreschi di San Pierino si riconoscono subito alcuni segni formali della tecnica di Taddeo Gaddi, come i tipici disegni geometrici delle cornici dipinte. Secondo la tradizione imitavano gli intagli marmorei nella Basilica di San Miniato. Poi ci sono altri segni stilistici e formali a partire da quella che viene definitiva la “supremazia del disegno” tipica della scuola fiorentina in concorrenza o contrasto con la “supremazia del colore” che negli stessi anni distinse la scuola senese. Si vuole mettere in evidenza che proprio l’abilità e l’espressione del disegno sono i caratteri che per primi colpiscono chi osservi queste opere. Tipica di Taddeo è infine la forte espressione data ad ogni figura, a differenza del più dolce tono del figlio Agnolo.

Resta tuttavia ancora difficile indicare quali opere possano essere della stessa mano di Taddeo oppure di qualche suo allievo.. 

Il San Biagio di Stefano Fiorentino

 Una recente scoperta ha permesso di attribuire a Stefano Fiorentino, un allievo prediletto di Giotto, la grande figura di vescovo sulla parete di sinistra della navata.  Autore dello studio è il professor  Miklos Boskovits che da molti anni dedica le sue ricerche alle pitture nel Pian di Ripoli e dintorni 

Stefano era parente di Giotto, forse figlio di una sorella, quindi nipote. Dette il nome dell’illustre nonno maestro al proprio figlio meglio conosciuto come “Il Giottino”.

Miklos Boskovits ha attribuito la grande figura del vescovo a Stefano Fiorentino mediante il confronto accurato con le altre poche opere rimaste di questo pittore. Purtroppo i bombardamenti del 1944 distrussero a Pisa i più noti capolavori di questo artista. Per studiare le sue opere bisogna andare in Lombardia, in Lombardia, all’abbazia di Chiaravalle Milanese, a Cassano d’Adda, a Vertemate. nel Duomo di Monza.

Alcuni indizi fanno ritenere che l’affresco sia stato dipinto nel 1335 o negli anni immediatamente seguenti. Si ricordi  nel 1333 e pochi anni dopo il Pian di Ripoli fu investito da due tremende alluvioni. San Pierino in Palco rimase fuori dalle onde ma ebbe bisogno di restauri. Boskovits osservando l’immagine del miracolo, il soccorso prestato a un bambino, ha indicato nella figura il vescovo martire San Biagio. Secondo la leggenda San Biagio liberò un bambino da una spina conficcata in gola. A Stefano Fiorentino è stato attribuito anche il “San Giovanni” del quale sono apparse tracce accanto a San Biagio. Il tema di San Biagio e del suo miracolo può essere un ricordo dei soggiorni di Stefano a Milano dove questo santo aveva una devozione popolare.

A Stefano Fiorentino pare attribuibile quanto resta dell’affresco dedicato a San Giovanni Battista, a sinistra di San Biagio.

Tempi di drammatici eventi

Proprio il nome, la fama degli autori, la bellezza delle opere rende difficile immaginare perché siano state nascoste, deturpate o ridipinte pochi anni dopo la loro esecuzione. Di nuovo occorre pensare a eventi drammatici.

Nel 1446 un altro evento che può avere in qualche modo avere effetto sulle vicende di San Pierino: il fallimento della compagnia finanziaria dei Bardi troppo esposti nei prestiti ai regnanti stranieri. Tuttavia i Bardi non persero il possesso del castello, almeno per qualche decennio, e possono avere ancora finanziato i lavori in San Pierino che rimaneva sotto il patronato del suo popolo, vale non soggetto ad alcun nobile o mercante o prelato.

Seguì nel 1348  un altro evento devastante: l’epidemia della peste nera.  E’ almeno tramandato dai racconti che in questa occasione tanti affreschi in Firenze furono  allora ricoperti di calce e di intonaco perché si credeva che anche nei colori si nascondesse una delle cause o degli agenti che diffondevano il terribile morbo..Ci si può domandare se anche i primi affreschi di San Pierino siano stati coperti di calce. 

L’iscrizione del 1360

Nello studio per datare l’opera di Stefano Fiorentino il professor Miklòs Boskovits ha potuto osservare che parte dell’affresco scompare  sotto uno dei pilastri laterali che sorreggono la copertura della chiesa. Se ne deduce che qualche tempo dopo la pittura dell’affresco di San Biagio la chiesa fu completamente ristrutturata .e questa volta in forme gotiche od ogivali. Fu allora abbattuto anche il vecchio tetto romanico con travature di legno.. 

.Per datare gli anni di questa ristrutturazione architettonica il professor Boskovits ha preso per punto di riferimento due iscrizioni. Una si legge ancora nella chiesa, nel pilastro di sinistra del presbiterio. La piccola lapide, in pietra reca incise queste parole:

“A:D. M. MCCCLX PRIMA DOMINICA DE ADVENTU DE MENSE NOVEMBRE DIE VIGESIMO OCTAVO FUNDATA FUIT”

.Non sappiamo a quali opera si riferisca la piccola targa e neppure se quello  sia il suo luogo originario. Resta certa la data del 28 novembre dell’anno 1360  come inizio di lavori che, si può presumere, riguardavano la chiesa e ne mutavano l’architettura. 

Chiassosa disputa tra pittori

E’ divertente ricordare che in un racconto del Sacchetti un gruppo di artisti fiorentini si riunì nel convento di San Miniato e tra una bevuta e un’altra di buon vino disputarono su chi fosse il maggior pittore dopo Giotto. Il vecchio Taddeo Gaddi sentenziò che dopo Giotto … “questa arte è venuta e viene mancando tutto dì”.

Ma a quella riunione erano presenti alcuni artisti che da lì a poco avrebbero avviato una vera e propria ripresa dell’arte italiana.

Alluvioni e saccheggi (1362)

Negli anni immediatamente successivi due drammatici eventi sconvolsero di nuovo il Pian di Ripoli. Di uno possiamo vedere ancora i devastanti effetti se facciamo una breve passeggiata fino all’Arno e osserviamo le muraglie che emergono in mezzo al fiume davanti alla Bellariva. Corrispondono ai resti di un muraglione che franò nel fiume per una grande piena,

. Come natta Matteo Villani. Ma in quello stesso anno 1362 durante la guerra tra Pisa e Firenze la terribile Compagnia Bianca fece irruzione nel Chianti e arrivò anche nel Pian di Ripoli con saccheggi e rovine.

L’iscrizione del 1365

E’ datata agli anni immediatamente successivi a questi eventi una seconda iscrizione che, come riferisce il Boskovits, si leggeva un tempo sull’altare maggiore:

“A.D. MCCCLXV QUESTA CAPPELLA FECE DIPIGNERE GIO. DI PIERO BANDINI DI BARONCELLI PER LA SUA REVERENZA PER RIMEDIO DELL’ANIMA SUA E DE SUOI MORTI:”

Si può dunque dedurre che a questa data, l’anno 1365,  la chiesa aveva già avuto la volta ogivale e anche la cappella maggiore aveva avuto nuovi affreschi .

Gli affreschi di Giovanni Del Biondo

Quando all’inizio del Ventesimo secolo cominciò la riscoperta degli affreschi in San Pierino i primi osservatori furono impressionati dai volti di angelo apparsi sulla parete di fondo dell’abside dove, purtroppo, una finestra era stata aperta proprio al centro del dipinto. 

In un recente numero di “Arte Cristiana” il professor Boskovits ha preannunciato l’esito di suoi studi su questi affreschi ed ha proposto il nome di Giovanni del Biondo, noto per i suoi lavori nel Valdarno.

Agnolo Gaddi 

Ancora una volta un anno stabilisce un punto di riferimento: è il 1366, l’anno della morte di Taddeo Gaddi.  Ma anche in questo caso nel passaggio della bottega o scuola tra padre e figlio c’è un periodo indeterminato nel quale è difficile indicare a quale mano si possano attribuire certe opere.

La tradizione e le prime impressioni fecero attribuire alla scuola di Agnolo Gaddi alcune delle opere in San Pierino tra le quali l’affresco con la Vergine che si trova all’ingresso del corridoio laterale che conduce alla sacrestia. 

. E’ stato osservato che nella vicenda artistica di Agnolo Gaddi ci sono almeno due fatti storici determinanti.

 Uno è il Tumulto dei Ciompi (1774)  ribellione del popolo più povero al quale i Gaddi si sentivano più vicini. Anche i temi della.pittura di Agnolo diventano più semplici.

 L’altro evento è la temporanea fortuna della famiglia degli Alberti, gli stessi che avevano i loro possessi in Pian di Ripoli, sul colle del Paradiso. 

Recentissimi studi  (“Arte Cristiana, 2004) hanno riproposto il tema dell’attività di un misterioso autore  attivo nella campagna fiorentina noto come “Maestro di Barberino”, per una sua opera riconosciuta a Barberino Val d’Elsa. Le affinità di stile. la congruità dei tempi,  inducono a proporre anche questi affreschi di San Pierino, dai toni più dolci e sfumati, tra quelle studiabili in questa ricerca.  Questo maestro collaborò strettamente con Pietro Nelli a San Caterina a Rimezzano e risentì dello stile di Agnolo Gaddi e di quello dell’Orcagna.

Del Trecento è anche il lastrone funerario a sinistra dell’affresco sulla parete esterna di San Pierino nel quale è scolpita la figura di un antico rettore della chiesa.

Le decorazioni della volta

Senza arrischiare ipotesi di attribuzioni possiamo ora osservare di nuovo gli affreschi di San Pierino.  Dopo quella chiassosa disputa narrata dal Sacchetti qua possiamo vedere i primi segni di una rinascita della pittura fiorentina nella tradizione di Giotto. E’ un avvio di primavera nel quale bisogna ricercare i segni di future grandi novità.

Cominciamo dalla volta. Di forte interesse appare la recuperata decorazione dei costoloni in muratura con vigorose fasce bianche e nere che mettono in risalto il potente slancio dell’architettura.

Lo stesso motivo di decorazione prosegue nella parte superiore delle pareti della navata. Ogni parete laterale è divisa in due parti da un semipilastro centrale sul quale si impostano le arcate delle volte. Le lunette, nella parte superiore delle pareti, sono incorniciate anch’esse da fasce bianche e nere ed in tutte è

 inoltre dipinto un identico emblema, un grande cerchio nel quale schematicamente raffigurata una porta con serratura e campanelle in ferro.  Il disegno ricorda lo stemma dell’Arte della Seta, o di Porta Rossa

La parete di destra

La parete a destra di chi entra nella chiesa è divisa in due parti dal semipilastro centrale, costruito quando fu alzata la copertura a volte. La parte della parete più vicina all’ingresso era occupata, almeno per la metà., da un dipinto andato quasi interamente perduto; restano soltanto la cima di un monte, di stile giottesco, e la parte superiore della testa di una figura che dalla capigliatura irsuta o incolta sembra essere stato un eremita o San Giovanni Battista, oppure una santa penitente.

Accanto a questo dipinto si trovano, chiuse in un’unica cornice  ma a loro volta separate da una fascia decorata, due figure di santi abbastanza bene conservate: a destra un santo in abito francescano , forse lo stesso San Francesco o Sant’Antonio, e a sinistra una santa, con capelli biondi e veste rossastra, forse Santa Chiara.

La misteriosa “Misericordia “ di San Pierino apparve trent’anni fa sotto questi affreschi.

 Sul semipilastro centrale che divide in due specchi la parete di destra è dipinta una solenne figura di santo, in una nicchia trilobata. Il santo è stato indicato  come l’apostolo Giacomo Maggiore, fratello di San Giovanni, forse con un raffronto con analoga figura a San Miniato.  Lo storico d’arte Miklos Boskovits ha proposto come autore di questa figura (in “Pittura fiorentina alla vigilia del Rinascimento”, Firenze, 1975) il pittore Pietro Nelli con una ipotetica data per l’esecuzione fra il 1365 e il 1370. 

La parete di sinistra

Nella parete a sinistra di chi entra, uno studio particolare merita la decorazione della prima lunetta prossima all’ingresso perché ha due temi del tutto diversi: a sinistra la decorazione appare di uno stile più antico, imitante gli intarsi bianchi e nero di marmo presenti nelle chiese romaniche, mentre a destra ci sono fasce a motivi geometrici e minuti, di gusto più recente che ricordano il gusto diffuso dalla bottega degli Orcagna. 

La parete, sotto questa prima lunetta, conserva frammentari i resti di  due diversi dipinti. Il primo ha per tema il Battesimo di Gesù, l’altro è il San Biagio, attribuiti a Stefano Fiorentino.

Il “Giudizio Universale”

Sulla parete retrostante la facciata è stata recuperata una parte di un autentico . capolavoro., un “Giudizio Universale”.  Purtroppo l’apertura di un finestrone, nel 1772, provocò la perdita irrimediabile di una vasta area, la più significativa, del dipinto trecentesco,.

Resta una parte della figura di Gesù, con i piedi piagati, su un trono circondato  da angeli. A sinistra è ben conservata la figura della Madonna, a destra quella di un santo, di aspetto giovanile e identificabile in San Giovanni Evangelista. In alto a sinistra vi sono angeli con i segni della Passione (Croce e lancia. Sotto la figura di Cristo trionfante si vedono angeli che suonano trombe, sotto i quali appaiono a sinistra schiere di beati, alcuni risorgenti dalla tomba, e a destra schiere di condannati e demoni.. Sull’attribuzione di questa grande opera non c’è per ora certezza definitiva. 

L’opera di Pietro Nelli

Pietro di Nello o Pietro Nelli era nato a Rabatta, nel Mugello, tra Borgo San Lorenzo e Vespignano. Oggi il villaggio è attraversato da una via solitaria, preferita dagli amici delle passeggiate nel verde. Era dunque nato nella terra e nel paesaggio di Giotto Attivo dal 1365 morì nel 1419. La sua presenza nel Pian di Ripoli è certa nella Pieve di San Pietro ma lavorò anche all’Impruneta e in Santa Caterina dì Alessandria a Rimezzano. 

E’ certo che ai suoi tempi fu riconosciuto come un vero maestro e la memoria si mantenne soprattutto nel Mugello.

E’ certamente un artista di particolare interesse nel passaggio tra l’arte del Trecento e quella del Quattrocento. 

Capolavori d’arte fra Arno ed Ema

Uno stretto legame non solo temporale ma soprattutto stilistico e artistico unisce alcuni cicli di affreschi:nelle chiese tra l’Arno e l’Ema.. 

A San Miniato e a Santa Caterina a Rimezzano in Val d’Ema lavorarono Spinello Aretino e Pietro Nelli.

In Santa Brigida al Paradiso lavorò Niccolò di Pietro Gerini, . insieme a Lorenzo di Niccolò, Ambrogio di Baldese e Mariotto di Nardo.

Questi artisti seguendo gli insegnamenti dell’Orcagna  ripresero la grande lezione di Giotto in forma più moderna. E rinnovarono la pittura fiorentina

A Pietro Nelli sono stati attribuiti o riconosciuti gli affreschi di San Pietro a Ripoli, databili fra il 1370 e il 1380, ma anche dipinti  nell’ex convento delle Campora e all’Impruneta..

I Biliotti  patroni di San Pierino (1451)

Ci sono in questa storia nuovi misteri.. Il primo resta ancora il motivo che indusse, non sappiamo chi, a nascondere  così suggestive opere d’arte. Qualche indizio può essere offerto dalla storia del vicino castello del Bisarno. Nell’anno 1451 il castello fu venduto da Piero di Ubertino Bardi a Giovannozzo di Betto Biliotti. La famiglia Biliotti nel 1472 acquistarono il patronato della chiesa dai parrocchiani.. Sul portale della chiesa i Biliotti misero allora il proprio stemma in pietra.

La Villa del Bisarno ai Capponi (1490)

Lo stemma dei Biliotti si è conservato fino ad oggi ma il patronato dei Biliotti ebbe invece durata assai più breve perché nel 1490 il vicino palazzo del Bisarno fu ceduto a Bernardo di Niccolò Capponi . I parrocchiani riacquistarono allora il patronato che comprendeva il diritto di eleggere il parroco, come allora si usava. 

La mappa di Leonardo da Vinci (1303)

Alla fine del XV secolo il Pian di Ripoli appare nel disegno della celebre “Veduta della catena”! che era conservata a Berlino ed ora conosciamo nella grande copia a colori conservata nel “Museo di Firenze com’era”. Nella veduta l’intero Bisarno appare come un territorio deserto, con macchie di alberi. Nel fondo si notano costruzioni e grandi filari di piante di alto fusto che, si può immaginare, nascondono San Pierino e il castello che gli ‘ prossimo.

Nel 1503 il Pian di Ripoli fu disegnato da Leonardo da Vinci in una mappa topografica.  Non sappiamo per quale motivo Leonardo non abbia indicato la posizione di San Pierino ma abbia invece indicato con  stupefacente esattezza il “mulino delle monache” all’angolo tra via delle Lame e via di Badia a Ripoli.

Resti di un mulino si notano ancora in via delle Lame, quasi all’angolo con via di Badia a Ripoli, a pochi passi da San Pierino in Palco. Oggi si vede soltanto il rudere di un muro al lato della via ma gli scava pochi anni fa fecero scoprire una grande costruzione.

 Il progetto di Leonardo aveva preso l’avvio da un progetto avventuroso del Comune di Firenze che intendeva sottomettere la ribelle città di Pisa mediante la deviazione del fiume..Ma Leonardo rivolse i suoi studi alla bonifica del territorio e alla creazione di un canale di navigazione tra Firenze e il mare.

Gli  Spagnoli in Pian di Ripoli (1529)

I fiorentini credevano ancora di essere una grande potenza quando la sera del 14 ottobre 1529 dal valico di San Donato in Collina discese e si accampò in Pian di Ripoli l’esercito imperiale di Carlo V.

La povertà dei soldati spagnoli, addirittura la netta superiorità di armamenti del comune, la avvenuta coalizione tra tutti i repubblicani, seguaci di Savonarola e perfino discendenti degli antichi ghibellini oltre che mercanti e patrizi, faceva ritenere Firenze invincibile dentro la sua grande cerchia di mura..

Con scherno i Fiorentini chiamarono “pidocchi” gli avversari e andarono a vendere nei loro accampamenti ricordi della città e viveri. Si può immaginare che in quei giorni anche la chiesetta di San Piero insieme al Castello del Bisarno abbia ricevuto gravi danni dalle truppe accampate in Pian di Ripoli..

Nell’agosto successivo dopo la sconfitta dei Fiorentini nel castagneto di Gavinana fu fatto l’accordo di pace. Firenze evitò il saccheggio ma con Alessandro cominciò il ducato dei Medici che poi con Cosimo I divenne granducato,

I Capponi mantennero a lungo la proprietà del Castello anche nel periodo storico del Granducato mediceo ed ebbero molta cura per San Pierino.

Scomparsa degli affreschi e nuovi altari

Non sappiamo quanto gli affreschi di San Pierino siano rimasti danneggiati in questi eventi, se fossero recuperabili, e perché siano stati nascosti sotto la scialbatura e sotto nuovo intonaco. Nel Cinquecento le chiese fiorentine ebbero quasi tutte una nuova architettura interna, adeguata  alle tendenze diffuse dal Rinascimento e per seguire le disposizioni liturgiche seguenti al rinnovamento religioso del Concilio di Trento. 

Si delineano molte cause e motivi che possono avere contribuito a fare nascondere le pitture trecentesche. E’ da notare che i Capponi e le altre famiglie vicine dotarono San Pierino di nuovi capolavori, forse anche per sollecitazione dei Vallombrosani  che intanto trasferirono nella vicina Badia a Ripoli la sede del loro Abate generale mentre un periodo di rigidi inverni rendeva sempre più disagevole il soggiorno a Vallombrosa.

La “Madonna” di Santi di Tito (1590 circa)

Non sappiamo quale sia in ordine di tempo il primo dei capolavori rinascimentali di San Pierino.  E’ databile all’ultimo decennio del Cinquecento  la grande pala da altare di Santi di Tito, attualmente sulla parete di sinistra dell’abside, dove andarono del tutto persi gli affreschi trecenteschi.  Fino all’inizio del secolo era conservata sulla parete di fondo della chiesa. La recente ripulitura ha permesso di leggere chiaramente la firma del pittore, una T e una S intrecciate, su una pietra dell’angolo inferiore sinistro.

 Il dipinto rappresenta la “Madonna in Gloria con il Bambino fra Santi” ed è databile all’ultimo decennio del Cinquecento. La Madonna, seduta su una nuvola, tiene in braccio il Bambino che si protende verso il basso a indicare  San Pietro, titolare della chiesa, e San Sebastiano. Dall’altro lato del dipinto ci sono San Giovanni Battista e San Francesco.

 Nato a Borgo San Sepolcro nel 1536, l’autore di quest’opera fu avviato alla pittura a Firenze e completò per sei anni la sua preparazione negli studi romani. L’evento determinante per l’arte di Santi di Tito fu l’adesione completa al nuovo senso religioso secondo quanto fu raccomandato agli artisti dal Concilio di Trento nel 1563 e dal Sinodo fiorentino nel 1573.

 In Santi di Tito si possono avvertire ricordi michelangioleschi, ora più- evidenti dopo i restauri che hanno restituito alla Cappella Sistina colori e toni meno opachi. 

La “Concezione” dell’Allori (1592)

Guide turistiche di vecchia o recente data indicano fra i capolavori conservati in San Piero in Palco la “Concezione della Vergine” attribuita ad Alessandro Allori. per lunga e mai contestata consuetudine.

A suo tempo la rimozione del quadro riportò in luce una scritta sulla parete col nome del patrono che ordinò il quadro e l’anno nel quale l’opera fu dipinta. Il nome “Galeotto Caponi” ma si deve intendere Capponi, l’anno è il 1592. 

Alessandro Allori nacque a Firenze nel 1535 e morì nel 1607. Fu allievo. dello zio. Agnolo Allori detto ,il Bronzino, ma apprese anche le lezioni di Michelangelo e di Raffaello in un giovanile soggiorno romano. Tornato a Firenze divenne uno dei pittori favoriti alla corte dei Medici. Nella tarda età anche l’Allori abbandonò i temi paganeggiati e si dedicò a un impegno religioso attento e meditato. In San Piero in Palco la pittura è al servizio della Fede. 

La Concezione Immacolata di Maria. non era stato riconosciuta come dogma dalla Chiesa in modo definitivo ma faceva parte della tradizione e della fede popolare. La esclusione della Madonna dagli effetti del Peccato originale è indicata con una invenzione un po’ scenografica ma efficace: la Madonna appare sopra un tronco di colonna che schiaccia una figura simboleggiante il Male. 

 In basso il paesaggio mostra enormi alberi che si sfumano in un cielo di blu intenso. Fa effetto riconoscere una straordinaria somiglianza fra questo querceto e quello che ancora oggi circonda la vicina villa del Bisarno., Ancora più sorprendente è riconoscere il paesaggio fiorentino con un grande masso in primo piano presso la riva dell’Arno.  Il paesaggio merita qualche attenzione perché una “Masso di Camarso” e un “Masso del Moro” erano in quei tempi noti punti di riferimento del paesaggio dell’Arno a monte di Firenze. Oggi ne restano labili memorie.

Il Seicento e lo “Sposalizio della Vergine”

Nel Pian di Ripoli il rinnovamento religioso dette il suo grande capolavoro con le “Nozze di Cana” di Bernardino Barbatelli detto il Poccetti nel refettorio dei monaci vallombrosani di Badia a Ripoli. Il volto del Cristo è uno dei più intensi nella storia della pittura di ogni tempo. Ed eravamo tra il 1603 ed il 1605.

Il rinnovamento traeva origine anche dai lontani insegnamenti di Girolamo Savonarola che nel Pian di Ripoli aveva trovato una seguace e continuatrice in suor Domenica del Paradiso.Su questa tradizione nacquero nuove confraternite come la Compagnia del Santissimo Rosario a Badia a Ripoli e la Compagnia di Sant’Isidoro protettore dei contadini a Santa Brigida. 

Intanto nel Pian di Ripoli cominciarono quei grandi lavori di bonifica che per promozione dei Medici furono compiuti dalla famiglia Castelli. Ne è ricordo la cappella a metà di via Villamagna. La consulenza tecnica fu dei grandi ingegneri del tempo, dal Buontalenti al Viviani. In pochi decenni il Pian di Ripoli tornò ad essere fertile terreno di campi, frutteti, orti. La meravigliosa fioritura primaverile dei ciliegi fece dare al Pian di Ripoli il nome di “Pomario di Firenze

Di questa età resta come ricordo in San Pierino un’opera di  controversa attribuzione, la “Nozze di Maria con Giuseppe”. .Secondo il Torrigiani, che aveva consultato documenti di archivio forse oggi alluvionati, l’opera fu eseguita nel 1647 da Rodolfo Frediani. In un documento del 1711 era invece attribuita a un altro autore, della stessa epoca e scuola, Francesco Curradi..

La tela si distingue per l’evidente realismo dei volti. Francesco Curradi fu il caposcuola di una bottega di successo. Ebbe vita longeva: nacque nel 1571 e morì quasi novantenne. Alla stessa famiglia appartennero Raffaele e Taddeo Curradi..

Il segno degli eventi storici 

L’aspetto attuale di San Pierino è in gran parte l’esito dei grandi lavori di trasformazione eseguiti nel XVIII secolo, il Settecento.

Il fervore religioso popolare trovò un nuovo sostegno nell’opera del francescano San Leonardo da Porto Maurizio che nel 1715 fondò il Convento dell’Incontro sulle rovine di un antico romitorio dei Basiliani e di un castello dei Longobardi.

Nei pressi di San Pierino nel 1717 il senatore Amerigo Antinori acquistò la “Casa bianca”, grande villa all’angolo tra via delle Lame e via del Bisarno. Da allora gli Antinori  rivolsero il loro impegno anche alla cura di San Piero in Palco, mentre i Capponi rimanevano ancora proprietari della villa del Bisarno. ..

La famiglia granducale dei Medici si stava per estinguere e le grandi potenze europee cercavano un accordo per indicare i successori. Forse resta di questo evento un curioso ricordo in San Pierino.

Un soldato disegna un castello (1735)

Durante i lavori di restauro nelle stanze adiacenti alla chiesa è riapparso un curioso disegno su una parete della canonica. In inchiostro nero o a carboncino il disegno raffigura un castello cinquecentesco tracciato dalla mano di persona certo poco esperta ma disinvolta. Si può pensare a un abile dilettante che lasciò sul muro un ricordo della sua presenza.

Ci sono due ipotesi che vengono subito alla mente. La prima è che il disegno sia stato tracciato da uno di quei mercenari che nel 1529 si accamparono in Pian di Ripoli con l’esercito spagnolo.

La seconda, molto più credibile, attribuisce il disegno ancora a un soldato spagnola ma in epoca più recente. Intorno al 1735 presero quartiere, come allora si diceva, in Pian di Ripoli le truppe al seguito del giovanissimo Carlo III di Borbone, proveniente da Parma, che le prime trattative internazionali indicavano come possibile successore dei Medici, con il consenso dello stesso Gian Gastone, ultimo e rassegnato erede della dinastia medicea..  Il giovane Carlo III prese alloggio nel castello del Bisarno, mentre i suoi uomini si accampavano intorno. Si sa che il piccolo esercito mercenario attraversò l’Appennino partendo da Imola, Piancaldoli  e Firenzuola. Proprio in questi paesi qualche soldato può avere veduto un castello del quale poi si divertì a tracciare un’immagine sul muro di San Pierino.

La scoperta ha sollecitato  l’interesse di alcuni studiosi dei castelli dell’Appennino che intendono riconoscere qualche fortezza sia stata raffigurata.

.La vicenda ebbe un esito diverso dal previsto. Con l’accordo firmato in una locanda di  Firenzuola  nel 1735 fu assegnato a Carlo III il regno di Napoli. In seguito Carlo divenne re di Spagna. In Toscana arrivarono i Lorena. Ma prima di partire il giovane Carlo, divenuto re di Napoli, volle lasciare un buon ricordo e pagò tutti i danni che i suoi soldati avevano fatto in Pian di Ripoli.  E’ possibile che anche San Pierino abbia ricevuto un risarcimento. Potrebbe essere questo il motivo degli ingenti lavori compiuti allora in San Pierino.

La “Madonna” di Via delle Lame (1742)

E’ possibile datare al 1742 la prima nuova opera in San Pierino. In quell’anno fu compiuta un’operazione davvero impegnativa per quei tempi. Da un tabernacolo in via delle Lame fu staccata dal muro e portata in San Pierino l’immagine della Madonna che la tradizione attribuiva alla Scuola di Giotto ed era oggetto di grande devozione popolare. L’opera fu collocata nella cappella a destra del transetto. Di recente l’opera è stata sottoposta a radicale restauro in attesa di essere di nuovo collocata in chiesa.

La “Madonna” di F. Gambacciani (1746)

Un nuovo intervento risale al 1746. Fu quello un anno di grandi novità nel Pian di Ripoli: i Vallombrosani resero di nuovo aperta al culto la cripta di Badia a Ripoli da tempo chiusa e impraticabile. 

Al 1746 è datato l’altare di sinistra nel transetto con la tela di Francesco Gambacciani. L’opera è dedicata alla Vergine e ai santi Spiridione vescovo e Francesco Ferreri.

Nella tragica notte dell’attentato in via dei Georgofili nel 1993 il dipinto si trovava in restauro in una delle stanze degli Uffizi più vicine all’esplosione ma per buona sorte non subì danni

Francesco Gambacciani nacque il 5 febbraio 1701. I suoi capolavori sono conservati tutti nella chiesa del Carmine, a Firenze fra loro tanto diverse. Il quadro di San Piero in Palco fu dipinto per la famiglia Altoviti, patrona dell’altare. Gli Altoviti, nobili fiorentini, erano diventati nel 1709 proprietari della cosiddetta Villa Arnina, in via delle Lame, poi chiamata Villa Stupan, già raffigurata da Leonardo nella sua mappa. . E’ la costruzione che ancora oggi si trova fra via delle Lame e via Unione Sovietica, nel cosiddetto borghetto del Limbo. 

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I grandi lavori del 1771

In San Pierino altri grandi lavori furono eseguiti tra il 1771 e il 1772. Purtroppo la perdita di tanti documenti a causa della alluvione rende difficile confermare quello che a suo tempo fu riferito da Luigi Torrigiani nella sua “Storia del Pian di Ripoli”. In assenza di altre datazioni risale a quegli anni l’apertura del finestrone nella facciata 

Nessuno sapeva che sotto l’intonaco si celava ancora il grande “Giudizio universale” trecentesco. Andò perduta per sempre la parte centrale del dipinto con la figura del Cristo giudicante.

Si può datare agli stessi anni la costruzione della falsa cupoletta interna, con una tecnica allora frequente. 

Le recenti scoperte nella cupola

Gli ultimi restauri promossi dalla Comunità parrocchiale di Badia a Ripoli, realizzati mediante il sostanziale contributo della Fondazione dell’Ente Cassa di Risparmio di Firenze, hanno fatto recuperare la sorprendente decorazione settecentesca della cupoletta. . La direzione è stata della dottoressa Maria Matilde Sìmari, della Soprintendenza ai Monumenti. Il restauro delle parti pittoriche è stato affidato ad “Artemisia restauri”, di Laura Lanciotti e a Barbara Geroni. Per la parte architettonica i lavori hanno avuto  la direzione dell’architetto Giuseppe Bracchetti.

Questa è pittura a calce, una forma di affresco più svelta di quella classica ma anche meno resistente alle usure del tempo. Intorno alla cupola sono disegnati elementi di architettura e decorazioni in tecnica monocroma, con un solo colore dominante, ma decorata in oro. Lo scenario si conclude alla sommità della cupola in un’area in alto e al centro sempre più chiara che nel suo luminoso mistero simboleggia il Cielo dove è assunta Maria. 

La data del dipinto, tra il 1771 e il 1772 fu indicata da Luigi Torrigiani nella sua monumentale opera “Il Comune di Bagno a Ripoli. Le notizie sono state confermate (e corrette) da una giovane ricercatrice che durante la compilazione della tesi di laurea ha ritrovato le memorie del parroco del tempo (alluvionate).

Lo stesso Torrigiani indicò come autore delle pitture architettoniche il pittore Gaetano “Mazzoni”. Il vero nome era Gaetano Masoni. Nato a Settignano, era noto soprattutto come scultore per avere eseguito bassorilievi nel Duomo di Pistoia 

 Il “Lensi” non meglio indicato dal Torrigiani è da ritenere, in mancanza di altre ipotesi,  Cipriano Lensi che nel 1781 lavorò negli affreschi della chiesa del Carmine, poco tempo prima devastata da un incendio

Dai Lorena a Firenze capitale

Gli impegni di riforma politica, sociale, anche agraria del granducato dei Lorena furono presto fatti propri dai Vallombrosani che in questo avevano una tradizione risalente al loro stesso fondatore.  Furono costruiti alla fine del XVIII secolo i muri che danno ordine alla campagna e dividono nettamente strade e campi, allora misura di sicurezza per i viandanti.

.Nelì’età di Napoleone per pochi anni divenne “Re di Etruria”, di nome ma non di fatto, un giovanissimo discendente di quel re Carlo che un giorno aveva soggiornato a San Pierino in Palco. 

I Beccari (1838) e gli Antinori

Nel 1838 il Castello del Bisarno fu ceduto daiCapponi a nuovi proprietari, i Beccari. A questa famiglia appartenne il celebre esploratore professor Odoardo Beccari che piantò nel parco piante rare e magnifici esemplari di alberi nostrani.Attualmente la villa è in restauro. 

Nella cappella di destra del transetto  a destra di chi entra sono raccolte le lapidi della nobile famiglia Antinori. Diventati proprietari della vicina Casa Bianca. Erano fedelissimi amministratori privati dagli ultimi granduchi di Toscana.anche dopo l’unità d’Italia. Gli Antinori concessero ai cittadini di Firenze il terreno dell’Albereta, usato per l’acquedotto ma con l’esplicito desiderio che fosse dedicato anche a parco pubblico..

Firenze capitale d’Italia (1865 – 1870

Nell’Ottocento furono eseguite nuove opere d’arte. Può davvero sorprendere il fatto che in un anno non ben determinato sia stato di nuovo dipinto anche il soffitto della falsa cupoletta con un’opera di buon lavoro. L’opera è stata ripulita e documentata nei recenti restauri che hanno rimesso in luce la sottostante decorazione settecentesca.

  Si possono ricercare nel secolo XIX eventi che abbiano indotto i parrocchiani a organizzare questi lavori, abbastanza costosi. Nuovi lavori furono promossi in tutta Firenze divenuta capitale d’Italia.(1865 – 1870)  Allora il professor Beccari accolse nel suo castello l’ambasciatore inglese in soggiorno di campagna.

Il terremoto del 1895

In età ancora a noi più vicina, da indicare nel Novecento, fu dipinta ancora un’ultima e terza decorazione sulla volta. Con il volto di San Pietro. Anche questa è stata documentata prima di essere rimossa. Ci si può di nuovo domandare perché nel breve volgere dei decenni si sia provveduto a dipingere più volte la cupoletta. Uno dei motivi può essere stato il disastroso terremoto del 18 maggio 1895, dell’VIII. grado Mercalli. Che devastò il Pian di Ripoli e la Val d’Ema… Si può immaginare che anche San Pierino abbia avuto bisogno di restauri. Di autore sconosciuto ma artista di particolare sensibilità e tecnica è la mirabile e commovente “Pietà” dipinta sotto la mensa dell’altare.  Il raffronto con opere simili in Pian di Ripoli potrebbe offrire facili indizi.

Le nuove chiese

 San Pierino fu per secoli una piccola parrocchia ma in tempi più recenti la chiesetta è stata affidata alla comunità di Badia a Ripoli dopo l’istituzione intorno al 1938 della nuova parrocchia (con sede provvisoria)che riprese proprio il nome di San Pietro in Palco.,

Nel 1944 nel territorio di San Pierino trovarono alloggio gli sfollati dalle case colpite nei bombardamenti di Firenze. 

Nuove chiese

Seguì la costruzione di nuove chiese a partire dalla nuova parrocchiale di San Piero in Palco (arch. Primo Saccardi) in piazza Cardinale Elia Dalla Costa (1958), seguita dalla chiesa in legno della Nave a Rovezzano (arch. Lorenzo Papi), dedicata alla Resurrezione.

 L’alluvione del 1966 sfiorò San Pierino. Dalla strada partivano i mezzi di soccorso per i territori inondati

 Nel 1969 fu costruita la nuova parrocchiale del Corpus Domini (arch. Alessandro Guerrera e Roberto Nardi). Nel 1994 fu posta la prima pietra della Cappella dell’Immacolata Concezione nella sede della Misericordia (arch. Giovanni Michelucci e Bruno Alberto Sacchi).Nel 2004 è inaugurata la cappella della Casa di Riposo”Piccola Betania” su disegno dell’architetto Giuseppe Bracchetti.

Piccola Betania

Betania era il luogo dove vivevano  Maria, Marta, Lazzaro, gli amici di Gesù. Era a tre miglia da Gerusalemme, proprio come san Piero in Palco da Firenze. Era consuetudine, ai tempi dei Romani, che i viandanti che arrivavano in città prendessero riposo prima di oltrepassare le mura. Così anche il Pian di Ripoli ebbe da tempo immemorabile la vocazione all’accoglienza e all’ospitalità.

  Quando furono avviati i lavori di recupero degli affreschi e delle tele la comunità parrocchiale di Badia a Ripoli si pose l’obbligo di dare alla vecchia canonica un utile impiego.  Come risposta concreta ad esigenze assillanti fu aperta una casa di accoglienza per bambini e madri che ebbe il nome di “Piccola Betania”, in ricordo del luogo dove Gesù era ospitato quando andava a Gerusalemme..

Da qualche anno ha preso il nome di “Piccola Betania” anche la moderna casa di riposo per anziani che la comunità parrocchiale ha costruito vicino a “San Pierino”.

Di recente gli antichi locali annessi alla chiesetta sono tornati disponibili per nuovi impegni e questa volta la comunità li h destinati alla Casa di preghiera, dedicata particolarmente alla devozione a Gesù nel Santissimo Sacramento

La presente sintetica guida vuole solo indicare quali siano le opere d’arte di maggior interesse in San Pierino in una rapida visita. Per notizie su queste opere si rinvia alla precedente parte storica generale dove sarà facile ritrovare le informazioni.

Appena entrati si osservi sulla controfacciata quanto resta del”Giudizio universale” del Trecento.

Nelle due pareti laterali si osservano ancora i resti di altri affreschi del Trecento della scuola dei Gaddi- A sinistra campeggia la grande figura di San Biagio 

Più oltre si trovano i grandi altari laterali. A destra sopra l’altare si trova l’”Immacolata Concezione” dell’Allori. A sinistra si vede lo “Sposalizio della Vergine” attribuito alla scuola dei Curradi.

Nella cappella di sinistra del transetto si trova la “Madonna con Santi” di Francesco Gambacciani. La cappella di destra è in attesa di definitiva sistemazione.

Nella cupoletta sopra il centro del transetto si vedono le decorazioni del Settecento.

Nell’abside si osservano resti di dipinti del Trecento e a destra la “Madonna con Santi “ di Santi di Tito.

Nei locali adiacenti è conservata la “sinopia” di una “Misericordia”-

Miklòs Boskovits – Pittura fiorentina alla vigilia del Rinascimento – Firenze 1975

Miklòs Boskovits – Ancora su Stefano Fiorentino . In “Arte Cristiana”, Milano, Maggio Giugno 2003

Nereo  Liverani – Badia a Ripoli –  Firenze 1987

AA. VV. Chiese, monasteri, ospedali del piano e delle colline  di Ripoli – Firenze 1983

Fabio Del Bravo – Quelle sorgenti sulla via di Fiesole – Firenze 1987

Luigi Torrigiani – Il Comune di Bagno a Ripoli – Firenze 1909

Emanuele Repetti –  Dizionario geografico storico della Toscana

Guido Carocci – Dintorni di Firenze – 1875

Silvano Galli – La  Nave a Rovezzano – Firenze 1985

Renato Stopani –  Il contado fiorentino alla seconda metà… del Duecento – Firenze 1979 

Misericordia di Badia a Ripoli – Vita e Carità nel Pian di Ripoli – 1999

Bernardo Zanchini – Il mistero dei Quona – Milano 2003